In pochi sono riusciti a farlo. Avvicinarsi a lui, voglio dire. Avvicinarsi davvero a lui, intendo.
Non lo permetteva a nessuno. Non l’ha permesso a nessuno. Mai.
Tra le decine di interviste che ho tradotto negli anni, solo un paio si sono avvicinate davvero all’obiettivo: cercare di arrivare al suo mondo più segreto.
Quello che ha sempre tenuto accuratamente nascosto a tutti.
Una è la lunga chiacchierata che Prince ha avuto con Spike Lee, verso la fine degli anni Novanta e poi c’è questa, una specie di lunghissimo piano-sequenza, all’interno del quale, Neal Karlen, giornalista e scrittore in quel momento ancora all’inizio della sua carriera e giovane ragazzo come Prince, si affianca a lui e se ne vanno a zonzo per Minneapolis, fermandosi in alcuni luoghi cardine della sua vita, presente e passata.
Siamo nel bel mezzo dell’era Purple Rain.
Prince non rilasciava interviste da anni. Invano i giornalisti avevano chiesto di incontrarlo. La risposta era sempre stata “nope”.
(Prince ha sempre odiato le interviste)
Poi all’improvviso – come accadeva spesso con lui – aveva cambiato idea. Aveva deciso di incontrarne uno.
Uno di Minneapolis.
Uno della sua stessa età.
Uno con cui avrebbe parlato di tutto, in una delle poche interviste-fiume della sua vita.
Sulla sua vita.
(come è già accaduto nel mio ultimo libro su Prince, che racconta quasi tutte le interviste rilasciate in quasi quarant’anni di carriera, la analizzerò per intero: non ho ripreso il file che ho inserito nel libro, motivo per cui questi miei pezzi su questa intervista saranno diversi, ma, in un certo senso, anche molto simili ai vari passaggi del libro, perché si tratta pur sempre della medesima intervista e della medesima persona che la racconta, tbh)
Un documento preziosissimo, questo, dunque.
Soprattutto dal punto di vista umano. Ci sono dei passaggi che ancora oggi sono difficili da leggere. Per il dolore sottinteso. Per il dolore esplicito che contengono. Ma soprattutto per il non detto che sta dietro.
1985
Prince è appena esploso a livello planetario, ma poco di tutto questo filtra dalle sue parole e dai suoi gesti, nel corso di questa intervista.
Sembra essere ancora intenzionato a rimanere con i piedi ben saldi a terra.
Uno che preferisce vivere nella sua città natale piuttosto che stabilirsi stabilmente in altre città più blasonate.
Uno che, dopo un successo come quello che aveva appena avuto, non ha avuto paura di cambiare radicalmente stile, uno che non ha avuto mai paura di scontentare le aspettative altrui, pur di rimanere fedele a se stesso.
Da questo lungo reportage emergono, dunque, – ma sempre in controluce – i traumi, le ferite, ma anche i sogni, la passione di Prince per quello che fa.
Gli amici musicisti. Il padre.
La famiglia.
(per quel poco che Prince aveva mai appreso in proposito)
È dal sessantanovesimo compleanno di John Nelson che si parte, infatti. Dopo una vita passata a farsi del male, i due (padre e figlio) sembrano avere trovato un incastro, un punto di contatto.
(non sarebbe durata a lungo, questa pace tra loro, ma questo era un momento di tregua, specie dal punto di vista di Prince, che non ha dimenticato nulla, però, di quello che gli è accaduto solo pochi anni prima)
La narrazione di Karlen inizia da un pigro girovagare cittadino, prima di arrivare a casa del vecchio John, che vuole festeggiare la ricorrenza giocando a biliardo con suo figlio (il biliardo: una delle grandi passioni di Prince) in un posto poco fuori dal centro.
John Nelson turns sixty-nine today, and all the semiretired piano man wants for his birthday is to shoot some pool with his firstborn son.
“He’s real handy with a cue,” says Prince, laughing, as he threads his old white T-bird through his old black neighborhood toward his old man’s house.
(“È davvero bravo con una stecca in mano” – dice Prince, ridendo, mentre guida la sua vecchia Thunderbird attraverso il suo vecchio quartiere black verso la casa del suo vecchio”)
(Prince guida ancora la macchina che era appartenuta a suo padre: lui e Neal attraversano la zona black di Minneapolis, dove abita ancora il vecchio John)
“He’s so cool. The old man knows what time it is.”
Hard time is how life has traditionally been clocked in North Minneapolis; this is the place ‘Time’ forgot twelve years ago when the magazine’s cover trumpeted “The Good Life in Minnesota,” alongside a picture of Governor Wendell Anderson holding up a walleye. Though tame and middle-class by Watts and Roxbury standards, the North Side offers some of the few mean streets in town.
(Minneapolis sembra ancora cristallizzata nel tempo passato: la rivista Time, dodici anni prima, scriveva sulla copertina ‘The Good Life in Minnesota’, con una foto che ritraeva il governatore Anderson mentre teneva in mano un grosso pesce)
(North Minneapolis si stava trasformando proprio in quegli anni in un quartiere della classe media, pur presentando alcune sacche di povertà, al suo interno)
The old sights bring out more Babbitt than Badass is Prince as he leads a leisurely tour down the main streets of his inner-city Gopher Prairie.
(Prince sta portando Neal a fare un piccolo giro nel suo quartiere)
He cruises slowly, respectfully: stopping completely at red lights, flicking on his turn signal even when no one’s at an intersection.
(“guida con lentezza e rispetto delle regole, fermandosi del tutto ai semafori rossi, mettendo la freccia anche quando non c’è nessuno all’incrocio”)
(a very good, smart guy)
Gone is the wary Kung Fu Grasshopper voice with which Prince whispers when meeting strangers or accepting Academy Awards.
(sembra scomparsa nel nulla la voce appena sussurrante con cui Prince solitamente parla con chi non conosce o quella che utilizza quando ritira dei premi, come era avvenuto nel caso della cerimonia per la consegna dell’Oscar)
(a very shy guy)
Cruising peacefully with the window down, he’s proof in a paisley jump suit that you can always go home again, especially if you never really left town.
(sembra di vederlo: lui che guida, tranquillo, con il finestrino abbassato, mentre indossa una tuta a disegni paisley, “è la prova che puoi sempre ritornare a casa, specialmente se non hai mai abbandonato davvero la tua città”)
Tooling through the neighborhood, Prince speaks matter-of-factly of why he toyed with early interviewers about his father and mother, their divorce and his adolescent wanderings between the homes of his parents, friends and relatives.
(in certi punti del racconto – osservando come si muove e quello che dice – è davvero difficile capire se Prince racconti realmente come sono andate le cose, si attenga alla loro realtà o se tutto quello che dice e che fa, in quel momento e nelle ore successive trascorse con Karlen, venga volutamente canalizzato – come piegato, forgiato – in un’altra direzione, per creare una nuova narrazione intorno a lui: vedendolo e osservandolo retrospettivamente, si nota che sta mettendo insieme un lieve assestamento nel suo personaggio, diverso rispetto alla rabbia e alla desolazione del Prince degli esordi: tutto sta per essere incanalato verso la metamorfosi successiva, già pronta sotto la superficie, come accade agli animali che fanno la loro muta stagionale)
(non dimentichiamo mai che sarebbe stato proprio Neal Karlen a mettere in evidenza il costante carattere manipolatorio dell’agire di Prince, rispetto a chi gli stava intorno)
(non dimentichiamo nemmeno che Alan Leeds, suo storico tour manager, avrebbe affermato, all’interno di un articolo scritto da Touré, negli anni Novanta, che Prince non faceva mai niente per caso, tutto era finalizzato ad uno scopo, in lui)
(interessante, a questo proposito, è l’affermazione che segue: vediamola integralmente)
“I used to tease a lot of journalists early on” – he says – “because I wanted them to concentrate on the music and not so much on me coming from a broken home. I really didn’t think that was important. What was important was what came out of my system that particular day. I don’t live in the past. I don’t play my old records for that reason. I make a statement, then move on to the next”
(“All’inizio prendevo in giro molti giornalisti, perché volevo che si concentrassero sulla musica e non tanto sul fatto che arrivo da una famiglia distrutta. Non mi sembrava una cosa importante. Ciò che era importante era quello che veniva fuori dal mio sistema in quel giorno particolare. Non vivo nel passato. Non ascolto i miei vecchi dischi per questo stesso motivo. Dichiaro qualcosa, poi passo a quella successiva”)
(il crinale è davvero sottile: non negare l’evidenza dei fatti – la famiglia altamente disfunzionale – ma sottrarre loro ogni importanza all’interno dell’universo princiano: se affermi che non guardi al passato, togli a questo passato ogni possibile peso a livello esistenziale)
(magari si potesse fare davvero così!)
(e infatti Neal non cade del tutto nella trappola: si sofferma sui punti più drammatici della storia di Prince, quelli che – certamente – hanno pesato sulla sua personalità, che lui ci creda o meno)
The early facts, for the neo-Freudians: John Nelson, leader of the Prince Rogers jazz trio, knew Mattie Shaw from North Side community dances. A singer sixteen years John’s junior, Mattie bore traces of Billie Holiday in her pipes and more than a trace of Indian and Caucasian in her blood. She joined the Prince Rogers trio, sang for a few years around town, married John Nelson and dropped out of the group. She nicknamed her husband after the band; the son who came in 1958 got the nickname on his birth certificate.
(l’incontro tra i genitori di Prince, entrambi musicisti, la nascita di questo figlio, la fine della carriera di Mattie Shaw, l’origine del nome Prince Rogers Nelson)
(la mania degli americani per i nomi un po’ strambi)
At home and on the street, the kid was “Skipper.”
(da bambino, tutti lo chiamavano Skipper)
Mattie and John broke up ten years later, and Prince began his domestic shuttle.
(“dieci anni dopo Mattie e John si sono lasciati e da lì Prince ha iniziato a fare la spola”: sono iniziate le sue peregrinazioni familiari e non)
“That’s where my mom lives” – he says nonchalantly, nodding toward a neatly trimmed house and lawn – “My parents live very close by each other, but they don’t talk. My mom’s the wild side of me; she’s like that all the time. My dad’s real serene; it takes the music to get him going. My father and me, we’re one and the same”
(anche qui è necessaria una traduzione integrale, perché si tratta di un passaggio fondamentale:)
(“ ‘Qui è dove vive mia madre’ – dice con nonchalance, annuendo verso una casa con un prato ben rasato – ‘I miei genitori vivono davvero a poca distanza l’uno dall’altro, ma non si parlano. Mia madre è la parte selvaggia di me, lei è così tutto il tempo. Mio padre è un tipo davvero sereno, ha bisogno della musica per andare avanti. Mio padre ed io siamo la stessa cosa’ ”)
(ho parlato a lungo di questo passaggio, di quest’ultima frase in particolare, nel mio ultimo libro su Prince e non mi dilungherò oltre, ma sottolineo ancora una volta come la realtà dipinta a parole da Prince fosse decisamente diversa, rispetto ai reali rapporti tra padre e figlio)
“A wry laugh”
(un sorriso amaro: non puoi avere un sorriso rilassato, se hai avuto una famiglia come quella, se hai ancora una famiglia come quella)
“He’s a little sick, just like I am”
(“È un po’ malato (di musica), proprio come sono io”)
Most of North Minneapolis has gone outside this Sunday afternoon to feel summer, that two-week season, locals joke, between winter and road construction. During this scenic tour through the neighborhood, the memories start popping faster.
(A Minneapolis l’estate è una stagione di due settimane, compresa tra l’inverno e la costruzione di strade, secondo una battuta che circola e quasi tutti a North Minneapolis, sono scappati via dal quartiere per godersela. Mentre se ne girano per il quartiere, emergono i ricordi)
The T-Bird turns left at a wooden two-story church whose steps are lined with bridesmaids in bonnets and ushers in tuxedos hurling rice up at a beaming couple framed in the door.
(la Thunderbird gira a sinistra ed arriva davanti ad una chiesa a due piani: c’è un matrimonio in corso e tutti stanno festeggiando gli sposi)
“That was the church I went to growing up” – says Prince – “I wonder who’s getting married”
(“È la chiesa in cui sono cresciuto. Sarei curioso di sapere chi si sta sposando”)
A fat little kid waves, and Prince waves back.
(un bambino saluta e Prince ricambia il saluto)
“Just all kinds of things here” – he goes on, turning right – “There was a school right there, John Hay. That’s where I went to elementary school” – he says, pointing out a field of black tar sprouting a handful of bent metal basketball rims.
(girano a destra, c’è un edificio, che ospitava la scuola elementare che Prince ha frequentato, insieme a ciò che resta di un campo da basket)
“And that’s where my cousin lives. I used to play there every day when I was twelve, on these streets, football up and down this block. That’s his father out there on the lawn”
“E lì è dove vive mio cugino. Me ne stato a giocare lì ogni giorno, quando avevo dodici anni, in queste strade, a giocare a pallone su e giù per l’isolato.quello là sul prato è suo padre”
These lawns are where Prince the adolescent would also amuse his friends with expert imitations of pro wrestlers Mad Dog Vachon and the Crusher.
(gli stessi prati su cui Prince faceva divertire i suoi amici con le sue imitazioni)
(Prince era molto bravo nelle imitazioni)
To amuse himself, he learned how to play a couple dozen instruments.
(poi, invece, per divertirsi, ha anche imparato a suonare un paio di dozzine di strumenti)
At thirteen, he formed Grand Central, his first band, with some high school friends. Grand Central often traveled to local hotels and gyms to band-battle with their black competition: Cohesion, from the derided “bourgeois” South Side, and Flyte Time, which, with the addition of Morris Day, would later evolve into the Time.
(le sue prime band dell’adolescenza, i primi legami con musicisti della sua stessa età, con le leggendarie battaglie notturne a colpi di musica per le strade di Minneapolis contro gli avversari)
Prince is fiddling with the tape deck inside the T-Bird.
(Prince armeggia con il mangianastri della macchina)
On low volume comes his unreleased “Old Friends 4 Sale” an arrow-to-the-heart rock ballad about trust and loss.
(a basso volume arriva un pezzo non pubblicato una ballata che – come una freccia dritta al cuore – parla di fiducia e perdita di qualcuno)
Unlike “Positively 4th Street“—which Bob Dylan reputedly named after a nearby Minneapolis block—the lyrics are sad, not bitter.
“I don’t know too much about Dylan” – says Prince – “but I respect him a lot. All Along the Watchtower is my favorite of his. I heard it first from Jimi Hendrix”
(un breve cenno su Bob Dylan, che Prince ammette di conoscere pochissimo, a parte un brano che gli è arrivato prima da Jimi”
“Old Friends 4 Sale” ends, and on comes “Strange Relationships” and as-yet-unreleased dance tune.
(arriva un altro brano)
“Is it too much?” – asks Prince about playing his own songs in his own car.
(“È troppo?” – chiede Prince a proposito del fatto di suonare le sue canzoni nella sua macchina)
“Not long ago I was driving around L.A. with [a well-known rock star], and all he did was play his own stuff over and over. If it gets too much, just tell me.”
(“Non molto tempo fa stavo guidando in giro per LA con [nome di una rock star molto conosciuta] e tutto quello che ha fatto è stato suonare la sua roba in continuazione. Se ti sembra troppo, dimmelo e basta”)
(a smart, shy guy)
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