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MEANWHILE, SOMEWHERE IN SOUTH MPLS: A PURPLE STORM

PURPLE PILLS

PURPLE PILLS: click here! 💜

LAST STUFF PUT HERE

Click

 YOU ARE THE ARTIST

 

“THIS TOWN IS MY FREEDOM”

A WONDERFUL TRIP

 “Cosa sei andata a fare fino a Minneapolis?”

“Sono andata a cercare l’uomo, non la star”

COMING SOON ⬇️

PRINCE: HE’S BACK!

Blue Darkness

 

“Mettiti qui, vicino a me!” – mi dici, battendo il palmo della mano sul prato, dopo esserti seduto. 

“Eccomi, arrivo subito” – dico, mentre mi avvicino.

Poggio in terra la borsa. Mi siedo a gambe incrociate. L’erba è morbida. Profumata. Piccoli fiori gialli, ovunque. Un minuscolo ragno si sta arrampicando su uno stelo, che si piega, leggermente, sotto il suo peso.

Mi guardo intorno.

Guardo il grande prato verde che mi circonda. Il ciuffo di alberi in cima alla collinetta che ci sovrasta. Il lago Riley, più in basso. L’acqua di un blu profondo, quasi nero.

 

(il capitolo continua, all’interno del libro in preparazione)

CHI SIAMO

 SKIP, aka ALEXANDER NEVERMIND, aka JAMIE STARR, aka PETER BRAVESTRONG, aka Love Symbol, aka The Artist, aka…

(cambiano gli alias, ma è sempre lui):

Prince Rogers Nelson

 Maria Letizia Cerica: prinsologa, semplice voce narrante,  in queste pagine

MLC

ideatrice di questo blog

Prince Rogers Nelson

PRN

impossibile farne una descrizione in breve: per saperne di più, scendete nella pagina e leggete le notizie su di lui, le sue interviste ⬇️

PURPLE PILLS

STORIE, FRAMMENTI,RECENSIONI, IMMAGINI, VIDEO: TUTTI SU DI LUI, PRINCE ROGERS NELSON, IL NOSTRO SKIP, RACCONTATO NELLA SUA DIMENSIONE UMANA E TERRESTRE

Across the street from McDonald’s, Prince spies a smaller landmark. He points to a vacant corner phone booth and remembers a teenage fight with a strict and unforgiving father. ‘That’s where I called my dad and begged him to take me back after he kicked me out’- he begins softly – ‘He said no, so I called my sister and asked her to ask him. So she did, and afterward told me that all I had to do was call him back, tell him I was sorry, and he’s take me back. So I did, and he still said no. I sat crying at that phone booth for two hours. That’s the last time I cried’

(Neil Karlen, “Prince Talks”, Rolling Stone, 1985)

PERCHÉ QUESTO BLOG?

 Proviamo a raccontare un uomo straordinario, un artista visionario, un essere enigmatico: quello che è stato per tutta la sua vita Prince Rogers Nelson. Irrealistico anche solo pensare di riuscire a dire tutto di lui, a raccontarlo, a circoscriverlo in qualche modo, a definirlo in ogni sua parte. Qui dunque spargeremo solo frammenti, curiosità, gusci d’uovo, che cercheranno di dare un’idea di quello che è stato, di quello che ha rappresentato. Per tutti noi. Per quasi 40 anni. E oltre.

...have a purple day...

PURPLE PILLS

(ideato e realizzato da Maria Letizia Cerica)

(con abbondanti e generosi interventi dall’alto) ⬆️

PURPLE PILLS

DUDES ON FEEEEETUS!

GREAT, GREAT BLAST!
KEFLE & THE STORE'S GUY
DUDES ON FETUS
KEFLE & THE STORE'S GUY CHATTING
ME, FREAKING OUT AT FETUS
buyers at work
COUNTER, ON FETUS: "THE ONE" COUNTER
MY FAVORITE COUNTER
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Eye-liner

“C’est ce qu’ont bien compris ces animaux artistes qui se maquillent, les humains. Certains motifs du maquillage ne sont pas de pures inventions de l’imagination humaine, des créations arbitraires: ils sont bio-inspirés. Ils accentuent les pouvoirs éthologiques du survisage humain, ils stylisent encore nostre masque animal.

Les deux cas le plus nets sont justement deux amplifications de contraste pour accentuer l’intensité du regard.

La première technique est l’eye-liner. En accentuant le contraste entre pupille et fond de l’œil par l’ajout d’une enceinte féline sombre, il mime la profondeur du regard de la panthère (elle dispose de naissance de cette ligne noire autour de l’œil).

C’est exactement la même structure sombre/clair/sombre qu’utilise le masque naturel du loup.

Hommes et femmes de théâtre fardent de nuit le tour de l’œil avant de monter sur scène: ils savent depuis toujours que cela en accentue l’expressivité.

Mais cette technique a été inventée par l’evolution des millions d’années avant les acteurs, par la lignée des grands félins, comme par d’autres.

L’eye-liner trouve son origine historique dans la poudre de khôl qui fardait les yeux des Égyptiens des deux sexes. Cette filiation est un indice, un détail révélateur d’une filiation plus profonde, qu’on peut pister jusque dans nos salles de bains.

L’Égipte antique était familière des métis d’animaux et d’humains (avec ses dieux thériantropes, à têtes de fauves, d’oiseaux, de serpents…)

Cette culture antique était aussi familière des survisages de la panthère et de l’antilope: c’était leur faune quotidienne.

Et c’est de l’Égypte antique qui provient une part de notre tradition du maquillage des yeux: dessiner le tour de l’œil, comme on le voit sur les fresques, et probablement aussi assombrir les cils.

Il n’est pas imprudent de conjecturer que le trait de khôl égyptien, donc l’eye-liner, est une technique bio-inspirée qui confère volontairement à l’œil humain l’intensité du regard de la panthère. Une technique qui capture le même amplificateur de contraste que l’évolution a peint sur le survisage de grands félins.

Dans une culture où votre déesse a une tête de lionne, où les animaux ne sont pas des bestioles mais des divinités, prendre leur survisage pour modèle dans l’apprentissage d’une expressivité intensifiée fait parfaitement sens.

Jusqu’à aujourd’hui, même les plus obtus ressentent douloureusement la puissance esthétique d’un survisage de panthère.

La tradition antique y a puisé des leçons de beauté, au sens vivant: la beauté comme manière d’habiter une forme.”

Fonte: Baptiste Morizot, “Manières d’être vivant”, Actes Sud, 2020

LA VITA È FATTA DI FRAMMENTI

Frammenti, validi come premessa

Ho sempre ammirato quelli capaci di creare/vedere grandi sistemi, rispetto al mondo circostante. Quelli che riescono a far coincidere tutti i pezzi della loro cosmologia e tutto il loro universo, una volta completato il lavoro, arriva ad assumere connotati netti e precisi. Ascissa, ordinata. Tutto in ordine.

Non sono mai riuscita ad essere così.

Riesco a fissarmi solo sui particolari. L’universale da sempre mi sfugge.

Spesso anche i particolari – nel particolare – mi sfuggono: nel senso che riesco a focalizzarmi sui frammenti, sulle briciole. Passo ore ed ore a guardare le briciole di realtà, analizzandole a volte in modo ossessivo.

Se mi innamoro di un libro, di un film o di una serie, sono capace di guardare e riguardare decine, centinaia di volte una pagina, una scena, l’inclinazione di un viso, una risata, l’intonazione di una voce, come se tutte queste cose – assolutamente slegate dalla visione d’insieme di quell’opera – potessero improvvisamente spiegarmi il senso della vita.

Da quella briciola pretendo di arrivare alla visione d’insieme.

Penso che sia la strada più sbagliata per arrivare al panorama finale. Scendo verso il basso del mio personalissimo Mont Ventoux, sperando di arrivare a vedere un panorama elevato che avrebbe richiesto ben altra strada, ben altro coraggio visivo.

Metto insieme questi pezzi slegati tra loro, nell’assurda speranza che essi possano indicarmi la giusta via.

Sto lì ad accantonarli, li allineo – uno vicino all’altro – sperando che una bella mattina, dopo essermi alzata da un sonno ristoratore, l’illuminazione arriverà, subito dopo essermi stropicciata gli occhi.

Ecco perché non mi riesce di costruire vere storie. Non riesco ad inventare personaggi: riesco a parlare solo di quelli che esistono già e che – a mio parere – costituiscono un campionario sufficiente per uno scrittore.

È già tutto lì: basta armarsi di pazienza ed osservare, ascoltare, trascrivere. La realtà parla da sola.

Lo so, l’eterno dilemma: se l’artista sia specchio o lampada.

Sono specchio o lampada? Un fiammifero, forse.

Ho quaderni pieni di osservazioni sparse, scritte a mano su quaderni bellissimi (quelli sì).

Osservazioni che dovrebbero essere trascritte, riordinate, cercando di dare loro un verso.

E mentre so che questo sarebbe il lavoro a cui dare priorità, mi metto a scrivere una premessa come questa, all’interno della quale prometto di fare ciò che continuo a rimandare.

(e sempre a Petrarca torniamo: ai suoi buoni propositi irrealizzati)

Ma le premesse – si sa – sono bussole indispensabili. Per capire. Per orizzontarsi. Per procedere.

 

PICS FROM MPLS

Stanze del Midwest
...nove ore di viaggio, una notte che nella tua testa non lo è affatto e ti ritrovi a guardare fuori dalla finestra: ti ricordi all'improvviso che sei su un'isola, che quell'isola è in mezzo al Mississippi e che sei nella città di Skip...
Stanze del Midwest
Ed è guardando da quelle persiane che scopri per la prima volta il Mississippi, nella sua grandezza
Il Ponte 1
L'isola in mezzo al Mississippi è collegata alla terraferma da un antico ponte in ferro e legno. Da lì si vede scorrere l'acqua, destinata a percorrere migliaia di chilometri
Il ponte 2
Tra l'isola e la terraferma c'è questo ponte in ferro e legno. Sotto, scorre il Mississippi, placido, limaccioso. Lo osservi, mentre passa sotto i tuoi piedi, trascinandosi dietro qualche tronco raccolto durante il cammino.
Hennepin Bridge
Hennepin Bridge ha un carattere quasi metafisico: fa un salto acrobatico sul Mississippi e ti permette di guardarlo dall'alto, da spettatore minuscolo che immagina contemporaneamente anche altre presenze, oltre alla sua, in altri momenti, in altri tempi
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A LETTER

Dearest Tracy,

thank U 4 your letter. It’s a good feeling 2  know that one’s work is appreciated by others. It’s the main thing that keeps me working. And if I ever make a video with 10-year olds in ’em, you’re invited. (smile)

I would love a picture of you. Don’t worry about what they look like. I take bad pictures all time. I hope U like Purple Rain, it’s a good movie. But, don’t listen 2 the swear words.

Happy birthday, and don’t forget 2 say your prayers. God loves you.

Your Purple friend,

Prince”

...searchin' & findin' Skip in MPLS... (part I)

…sentire scorrere l’acqua, il potere calmante dell’acqua, avere a così breve distanza, praticamente a portata immediata di sguardo, una massa tanto imponente di acqua in continuo movimento, ha avuto su di me un forte potere ipnotico: sono andata di continuo a vederla. Solo chi è cresciuto accanto all’acqua può capirne il fascino irresistibile…

Have a Purple Day

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PILLOLE VIOLA CHE PARLANO DI LUI – DI SKIP – DEL SUO MONDO, DELLA SUA MUSICA

Alphabet St.

TALKING ABOUT SKIP

IL MIO ULTIMO LIBRO: "THE BEAUTIFUL PRINCE"

Have a Purple Day

A NEW NEW NEW STORY!

he's back!

PAGE ONE ONE

“Il tuo passato immaginato da me, il nostro supposto futuro” “C’è un tipo di rapporto, l’unico durevole, in cui è come se tra due esseri umani corresse un invisibile filo telegrafico. Dentro di me lo chiamo: ‘Il filo d’oro’ ” “Tutto ho raccolto di te briciole, frammenti, polvere, tracce, supposizioni, accenti restati in voci altrui, qualche grano di sabbia, una conchiglia, il tuo passato immaginato da me, il nostro supposto futuro, ciò che avrei voluto da te, ciò che mi avevi promesso, i miei sogni infantili, certe sciocche rime sulla giovinezza, un papavero sul ciglio di una strada polverosa” (coming soon)

PAGE TWO TWO

Gràphein, Oràn, Èchein “Cara signora Milena, la pioggia che durava da due giorni ed una notte è appena cessata, forse soltanto provvisoriamente, ma è certo un avvenimento degno di essere festeggiato ed io lo faccio, scrivendo a Lei” “Franz, sbagliato, F sbagliato, Tuo, sbagliato, non più, silenzio, bosco profondo” (coming soon)

SENDING/FINDING LOVE

To: Skip, somewhere-nowhere From: (It’s) me Object: need help&(possibly)love:right now! please-please-please, come here! Caro Skip-del-mio-cuor, here we are. Lo so. Sei lì da un po’, a prendere il sole, nel Giardino. Beatamente. Non vuoi seccature e - credimi - ti capisco benissimo. Le persone come me sono una bella rottura di maroni, come glisserebbe - e con ragione - mio figlio. Però. (coming soon)

IPSE DIXIT: CRUMBS FROM HIS INTERVIEWS

“It’s a combination of things. I think when one discovers himself, he discovers God. Or maybe it’s the other way around. I’m not sure…It’s hard to put into words. It’s a feeling – someone knows when they get it. That’s all I can really say”

(Neal Karlen, “Prince Talks”, 1985)

"Once I made it, got my first record contract, got my name on a piece of paper and a little money in my pocket, I was able to forgive. Once I was eating every day, I became a much nicer person" (1985)
MUSICIAN: And what’s your last name? Is it Nelson? PRINCE: I don’t know. (1983)
About Minnesota: “I was born here, unfortunately.” (1977)
"I believe in teachers, but not for me" (1979)
About concerts: “I really don’t have time to make the concerts" (1977)
“Do you get out much?” “No. Not really.” “What age range of young ladies do you like?” “It doesn’t matter.” (1979)
About studying music: "I’ve had about two lessons, but they didn’t help much" (1977)
"We won’t be able to use that. I hate wasting time. I want to hear that song on the radio" (1977)
About music:“I wanted to make a different-sounding record" (1977)
first time he saw his father performing on stage (Prince was a 5 years old boy): "He was up on stage and it was amazing. I remembered thinking, ’These people think my dad is great.’" (1982)
"I think society says if you’ve got a little black in you that’s what you are. I don’t" (Musician, 1983)
About being a performer: "I wanted to be part of that" (1977)
PRINCE: Probably take a long bath. I haven’t had one in a long time. I’m scared of hotel bathtubs. (‘quale sarà la prima cosa che farai, quando tornerai a Minneapolis?’) (‘con ogni probabilità, un lungo bagno, non ne ho fatto uno per parecchio tempo, mi spaventano le vasche da bagno degli hotel’) MUSICIAN: What do you fear? PRINCE: They just...a maid could walk in and see me.
About school: "To this day, I don’t use anything that they taught me. Get your jar, and dissect frogs and stuff like that" 1983

MY PODCASTS ABOUT HIM

 Segui il mio podcast su Spreaker: Spreaker: Mr. Nelson

 Segui il mio podcast su Spreaker: Prince, Rogers&me: Spreaker: Prince, Rogers&me

 Segui il mio podcast su Apple Podcast: Prince: a beautiful trip

Segui il mio podcast su Apple podcast: Apple podcast: Prince Rogers&me

LAST STUFF

Neal + Prince: a trip in&out a (boy) man (IV parte)

 

Era una persona complessa. Sicuro. Sicurissimo.

Prince aveva una personalità difficile da comprendere, per chiunque, ad un primo sguardo. Ad uno sguardo superficiale. Specie per chi lo vedesse/incontrasse per la prima volta.

(i pochi autorizzati ad entrare all’interno della sua zona di rispetto e solo per il tempo strettamente necessario, ovviamente, e niente di più)

Come molti di noi – egli possedeva molti strati disposti sotto la sua superficie, ma non permetteva a nessuno di scavare là sotto.

Non lo ha mai permesso a nessuno.

Si celava a tutti, dunque.

Mostrava sempre e soltanto quello che ritenesse utile mostrare in quel momento. Niente di più. E mai troppo a lungo.

In questa intervista che concede nel 1985 – dopo anni di silenzio stampa – a Neal Karlen di Rolling Stone egli decide di sembrare abbordabile. Un ragazzo qualunque, arrivato al successo dopo una serie infinita di dolori e difficoltà.

(la pura verità, a dire il vero)

Uno che fa una vita regolare, fatta di lavoro e lavoro.

(il che è perfettamente vero)

Voleva allontanare ogni diceria sui suoi comportamenti bizzarri ed eccolo lì: il ragazzo della porta accanto, timido, ma accessibile.

(il che è anche – altrettanto e assolutamente – vero, sotto un certo punto di vista)

Questa intervista – come ho sottolineato più volte – è una sorta di unicum. Pochi sono riusciti ad avvicinarlo e ad affiancarlo nel modo in cui Neal Karlen ha potuto fare in quell’occasione. Passando così tante ore con lui. Guardandolo muoversi davanti a lui, senza la mediazione di staff e di assistenti personali.

Prince viveva di distanza.

Per capire chiaramente il suo modo di fare ed inquadrarlo per ciò che egli era realmente, è necessario tenere sempre in mente le parole che sarebbero state pronunciate qualche anno più tardi da Alan Leed – suo storico tour manager e fratello di Eric, sassofonista nelle varie band di Prince per molti anni.

Alan Leed: uno che ha potuto osservare bene Prince per anni, dunque, a lungo e molto da vicino.

Una fonte molto affidabile e sincera.

In quella intervista degli anni Novanta Alan Leed avrebbe sottolineato come Prince – in qualsiasi cosa riguardasse i suoi rapporti con il mondo esterno – agisse sempre all’interno di un ben preciso programma che aveva in mente e come non desiderasse avere dagli altri né concedesse loro alcuna confidenza di carattere personale.

Semplicemente perché avere una qualche forma di confidenza con gli altri non rientrava nella sua struttura mentale, nella sua personalità.

Era una private person, come hanno spesso detto in molti. Private: in un modo che arrivava quasi a rasentare la paranoia.

(e qui, inevitabilmente, torniamo ai comportamenti bizzarri che in molti avevano osservato in lui, senza peraltro capirne il senso)

In questo senso, dunque, va letta tutta la giornata che Prince decide di trascorrere (nel giorno del compleanno di suo padre John) insieme a Neal.

Era stato tutto più o meno organizzato da lui, con uno scopo preciso. Far vedere che non era a weirdo.

Nonostante questo piano di partenza, con il trascorrere delle ore, Prince scopre di avere una grande affinità con Neal, che, proprio per questo, sarebbe poi diventato una delle persone più vicine a Prince, restandolo fino alla fine, fino alle sue ultime settimane.

Torniamo al racconto a quella giornata trascorsa insieme da quei due ragazzi.

Siamo quasi alla sua conclusione.

Prince e Neal escono dalla Purple House, diretti verso un luogo ancor oggi simbolico a Minneapolis: il First Avenue.

Il locale di Purple Rain, il locale dentro il quale chi avesse la pelle nera non era autorizzato a suonare. Un luogo che ha rappresentato per Prince un punto di arrivo, sotto tutti i punti di vista.

Ci sono degli amici che aspettano Prince, quella sera. I due escono di casa e si dirigono verso il First.

“A few minutes later, driving toward the First Avenue club, Prince is talking about the fate of the most famous landmark in Minneapolis”1

(pochi minuti più tardi,  guidando verso il First Avenue, sta parlando del destino del più famoso punto di riferimento di Minneapolis)

Prince sembra quasi rimpiangere i tempi in cui era ancora uno sconosciuto chitarrista prodigio.

(ovviamente non è così)

Before Purple Rain” – he says – “all the kids who came to First Avenue knew us, and it was just like a big, fun fashion show. The kids would dress for themselves and just try to took really cool. Once you got your thing right, you’d stop looking at someone else. You’d be yourself, and you’d feel comfortable

(“Prima di Purple Rain” – dice – “tutti i ragazzi che arrivavano al First Avenue ci conoscevano e questa era semplicemente una grande, divertente sfilata di moda. I ragazzi si sarebbero vestiti per loro stessi e cercando semplicemente davvero cool. Una volta che ti fossero state ben chiare le tue cose, avresti smesso di guardare verso qualcun altro, saresti stato te stesso e ti saresti sentito a tuo agio”)

Then Hollywood arrived.

(poi è arrivata Hollywood)

È arrivata Hollywood, insieme al successo planetario, alla fama tanto desiderata. Tutte cose che gratificano immensamente l’Ego di un artista, ma che rivelano solo ad un certo punto i loro risvolti negativi.

O meno positivi del previsto.

When the film first came out” – Prince remembers – “a lot of tourists started coming. That was kind of weird, to be in the club and get a lot of ‘Oh! There he is!’ It felt a little strange. I’d be in there thinking, ‘Wow, this sure is different than it used to be!’

(“Quando è uscito per la prima volta il film” – ricorda Prince – “un bel po’ di turisti ha iniziato ad arrivare. Era una strana cosa, essere nel club e trovarsi di fronte ad un sacco di ‘Oh! Eccolo!’ Mi sembrava un po’ strano, trovarmi lì, mentre pensavo: ‘Wow, questo è qualcosa di diverso rispetto a prima!’ ”)

“Now, however, the Gray Line Hip Tour swarm has slackened. According to Prince – who goes there twice a week to dance when he’s not working on a big project – the old First Avenue feeling is coming back”

(ora, tuttavia, lo sciame dei Gray Line Hip Tour non è più così fitto. Secondo Prince – che va lì un paio di volte a settimana se non sta lavorando ad un grande progetto – la sensazione legata al vecchio First Club sta ritornando)

There was a lot of us hanging around the club in the old days” – he says – “and the new army, so to speak, is getting ready to come back to Minneapolis. The Family’s already here, Mazarati’s back now too, and Sheila E. and her band will be coming soon. The club’ll be the same thing that it was

(“Eravamo in parecchi a bazzicare nel club ai vecchi tempi” – dice – “ed il nuovo esercito, per così dire, si sta preparando a tornare a Minneapolis. The Family è già qui, Mazarati sta tornando proprio ora e Sheila E. e la sua band arriveranno presto. Il club tornerà ad essere quello che era”)

“As we pull up in front of First Avenue, a Saturday-night crowd is milling around outside, combing their hair, smoking cigarettes, holding hands. They stare with more interest than awe as Prince gets out of the car”

(mentre ci fermiamo davanti al First Avenue, una folla da sabato sera si accalca fuori, pettinandosi i capelli, fumando sigarette, tenendosi per mano: fissano con più interesse che stupore Prince che scende dall’auto)

Anni dopo, riprendendo, all’interno di un suo libro, questa stessa scena, Karlen avrebbe raccontato di aver visto comparire per la prima volta proprio lì la “faccia di granito” che Prince inalberava quando si trovava tra facce sconosciute: lineamenti tirati, voce appena borbottante.

(la timidezza incurabile e radicale era uno dei suoi tratti più caratteristici: incredibile a dirsi)

You want to go to the [VIP] booth?” – asks the bouncer – “Naah” – says Prince – “I feel like dancing

(“Vuoi andare. Nella zona [VIP]?” – chiede il buttafuori – “Naah!” – risponde Prince – “Ho voglia di ballare”)

“A few feet off the packed dance floor stands the Family, taking a night off from rehearsing. Prince joins the band and laughs, kisses, soul shakes. Prince and three of Family members wade through a floor of Teddy-and-Eleanor-Mondale-brand funkettes and start moving. Many of the kids Prince passes either don’t see him or pretend they don’t care. Most of the rest turn their heads slightly to see the man go by, then simply continue their own motions”

(a pochi metri di distanza dalla pista gremita c’è The Family, che si sta prendendo una notte libera dalle prove. Prince e tre dei Family guadano attraverso una pista piena di funkettes del brand di Teddy and Eleanor Mondale ed iniziano a ballare. Molti dei ragazzi attraverso cui Prince si muove o non lo vedono o fanno finta che non gli importi. La gran parte degli altri gira leggermente la testa per vedere passare l’uomo, poi continua semplicemente a ballare)

“An hour later, he’s on the road again, roaring out of Downtown. Just as he’s asked if there’s anything in the world that he wants but doesn’t have, two blondes driving daddy’s Porsche speed past”

(un’ora più tardi, Prince è di nuovo in strada, ruggendo fuori da Downtown; gli avevo appena chiesto se ci fosse qualcosa al mondo che avrebbe voluto ma che non aveva: due bionde sfrecciano accanto, guidando la Porsche di papà)

I don’t” – Prince says with a giggle – “have them

(“Non ho quelle!” – dice, con una risatina)

Arriva a questo punto una delle scene più incredibili della giornata: dice molto di lui, della sua voglia di rivalsa sulle umiliazioni antiche, del suo bisogno di sentirsi riconosciuto, sempre e comunque, della sua timidezza, del suo innato sense of humor.

“He catches up to the girls, rolls down the window and throws a ping-pong ball that was on the floor at them. They turn their heads to see what kind of geek is heaving ping-pong balls at them on the highway at two in the morning. When they see who it is, mouths drop, hands wave, the horn blares. Prince rolls up his window, smiles silently and speeds by”

(raggiunge le due ragazze, abbassa il finestrino e lancia verso di loro una pallina da ping-pong che si trovava sul pavimento della macchina: loro girano le teste per guardare il tipo strano che sta lanciando loro palline da ping-pong sull’autostrada alle due del mattino; quando si rendono conto di chi sia, bocche spalancate, mani che salutano, il clacson suona: Prince tira su il suo finestrino, sorride in silenzio ed accelera)

“Off the main highway, Prince veers around the late-night stillness of Cedar Lake, right past the spot where Mary Tyler Moore gamboled during her TV show’s credits. This town, he says, is his freedom”

(fuori  dall’autostrada principale Prince gira intorno all’immobilità da notte fonda del Cedar Lake, proprio oltre il punto in cui Mary Tyler Moore ha giocato d’azzardo durante i titoli di coda del suo show: questa città – dice lui – è la sua libertà)

The only time I feel like a prisoner” – he continues – “is when I think too much and can’t sleep from just having so many things on my mind. You know, stuff like, ‘I could do this, I could do that. I could work with this band. When am I going to do this show or that show?’ There’s so many things. There’s women. Do I have to eat? I wish I didn’t have to eat

(“Il solo momento in cui mi sento prigioniero” – continua – “è quando penso troppo e non riesco a dormire, per via di così tante cose che mi frullano in testa. Sai, cose come ‘Potrei fare questo, potrei fare quello. Potrei lavorare con questa band. Quando farò questo o quello spettacolo? Ci sono così tante cose. Ci sono le donne. Devo mangiare? Vorrei non dover mangiare’ ”)

Sulla questione del cibo sarebbe necessaria una sosta importante della narrazione: Prince soffriva quasi sicuramente di disturbi legati all’assunzione di cibo.

(ci tornerò sopra)

“A few minutes later, he drops me off at my house. Half a block ahead, he stops at a Lake Street red light. A left up lake leads back to late-night Minneapolis; a right is the way home to the suburban purple house and solitude. Prince turns left, back toward the few still burning night lights of the city he’s never left”

(qualche minuto dopo mi deposita davanti casa mia; mezzo isolato più in là si ferma al semaforo di Lake street; il lago a sinistra riporta verso la Minneapolis della tarda notte, a destra c’è la strada di casa verso la casa viola in periferia e verso la solitudine; Prince gira a sinistra, di nuovo verso le poche luci notturne ancora accese della città che lui non ha mai lasciato)

Fonti:

  1. Neal Karlen, “Prince talks”, Rolling Stone, 1985

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marialetiziacerica

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Lillian Morgan

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