

In un mondo che vorrebbe ad ogni costo corrompere la nostra identità, la nostra anima, dobbiamo assolutamente resistere, rimanere noi stessi, evitare di svenderci.
Questo, il senso dell’imperativo finale che si trova in fondo a questa canzone: “Hold on to your soul!”
Un tema trasversale in tutta la produzione di Prince.
Ricorrente.
A cadenze fisse, quasi fosse un ritornello: è stato declinato da lui in mille modi.
Mai contraddittori.
Sembra quasi impossibile da credere: in decenni di carriera, (quella di una delle più grandi star della musica rock di tutti i tempi), Prince ha messo periodicamente in guardia tutti noi dalle lusinghe del successo.
(forse si trattava anche di un messaggio diretto a se stesso)
Il successo e le sue pericoloso lusinghe.
Quella cima della montagna da raggiungere ad ogni costo. Per poter dire di essere arrivati. È invece proprio nel momento in cui si inizia la scalata, che si rinuncia alla propria anima.
Guai a svendersi. Guai a svendere la propria anima.
La figura di Spooky Electric – che arriva, centrale, nel bridge – sta a simboleggiare proprio questo: una specie di Satana ammaliante che ci fa quotidianamente il lavaggio del cervello (“it cuts like a knife and tries to get in you / this Spooky Electric sound”), quello stesso Spooky che ci spinge a scendere a qualsiasi compromesso, pur di arrivare, di raggiungere quella meta.
Prince ha affrontato spesso anche nelle interviste il tema del “vendere l’anima al diavolo” per ottenere il successo. Lui aveva capito quasi subito – giovanissimo – cosa era disposto a fare “per avere quella chiave”.
Quasi nulla, a dire il vero. Questa sua convinzione lo aveva animato fino alla fine della sua vita.
In una intervista concessa all’inizio dei Duemila a Jim Walsh del «St. Paul Pioneer Press» di Minneapolis, Prince aveva aggiunto, però un punto fermo sul tema.
Su questo tema.
Walsh gli aveva chiesto – all’interno di una lettera aperta che aveva pubblicato sul suo giornale – di regalare al mondo un altro grande album, un successo colossale, degno di lui, in modo tale da riprendersi il posto che gli spettava, vista la sua importanza nella storia della musica mondiale.
Letta quella lettera, Prince lo aveva quasi immediatamente convocato a Paisley Park e lo aveva rimproverato per il suo contenuto.
“Sono già stato in cima a quella montagna, Jim, e non c’è niente!” – aveva concluso, con il suo solito stile imaginifico.
Entriamo nel cuore di “Positivity”, allora, forti di questi punti fermi.
Un brano carico di ritmo, ma anche essenziale, da un certo punto di vista.
Ipnotico, senza alcun dubbio, come sanno essere ipnotici certi suoi pezzi che, di primo acchito, appaiono addirittura tanto semplici da sembrare banali.
Un funk. Con pesanti venature elettroniche.
(secondo me, le Menadi, le sacerdotesse di Dioniso, ballavano al ritmo del funk: non può essere che così, verrà fuori, prima o poi!)

Non esiste, infatti, un ritmo più trascinante e seduttivo di questo ed il ritmo funk è appunto l’ossatura stessa di questa canzone.
Sulla ritmica è stato costruito l’intero brano. Una base strutturata a partire da una drum machine, sulla quale si appoggiano le intersezioni delle tastiere, gli interventi alle percussioni di Sheila E e gli inserti di chitarra solista.
Le voci.
Nei cori ritroviamo Sheila e Boni Boyer, oltre allo stesso Prince, mentre la sezione fiati ha l’ossatura solida dei due solisti utilizzati abitualmente da Prince in quei primi anni di NPG: Eric Leeds (al sassofono) ed Atlanta Bliss (alla tromba).
(Prince – come al solito – ha suonato tutto da solo, ad eccezione di pochi rimasugli ceduti ad altri e della sezione fiati)
La registrazione delle varie tracce di “Positivity” – che è anche il brano che chiude l’album Lovesexy – avviene a Paisley Park l’11 dicembre 1987, per quanto riguarda le sezioni eseguite dal solo Prince, mentre le sovraincisioni (cori, Sheila, fiati) vengono aggiunte pochi giorni dopo, il 9 gennaio, in una seduta a parte.
Prince non ha suonato spesso questo brano, nei suoi tour.
Anzi: a partire dalla fine del Lovesexy Tour, lo ha eliminato per sempre dalle sue scalette.
Entriamo nel cuore di “Positivity”, nei suoi temi.

Positività può voler dire molte cose. Può fare riferimento ad un modo ottimistico di guardare alla vita, ma anche alla scelta di voler avere a tutti i costi un segno + (= fare i soldi, dunque) alla fine della propria giornata.
Basta scegliere il senso giusto.
(“Have you had your plus sign today?”)
Può voler dire essere ossessionati dal raggiungimento dei propri obiettivi. Dall’essere presenti sulla scena ad ogni costo.
(“Do we mark you present, or do we mark you late?”)
La preoccupazione di Prince per la violenza diffusa nella società americana è stata anch’essa una costante.
(il motivo più importante alla base del quasi costante rifiuto che ha avuto per certa musica rap e per parte dell’hip/hop)
Ne parla ancora nella prima strofa.

(“Is that a good man/walking down that street with that money in his hand?/Is that a good man?/Why do you dog him?/ If that was your father, tell, me, would you dog him/ then?/ would you dog him?”)
L’insensatezza della violenza nelle strade: si insegue (e forse si uccide) un brav’uomo, solo perché ha con sé del denaro. Inseguiresti quell’uomo se fosse tuo padre? – si chiede Prince.

(“Is that all your gold?/ Where did it come from? What did you have to do?/Can you sleep nights?/Do you dream straight up or do you dream in W’s?”)
Si farebbe qualsiasi cosa, per denaro, senza pensarci troppo su. Senza che un rimorso, un pensiero agitino i sogni delle persone avide e senza scrupoli, che pensano solo ad accumulare ricchezze, senza farsi domande sulla loro provenienza.
Nella parte del bridge c’è sicuramente un riferimento – nemmeno troppo velato – alla sua adolescenza. Alla sua esperienza di ragazzo lasciato a badare a se stesso a dodici anni, senza che nessuno in particolare, tra i suoi familiari, si preoccupasse dei rischi ai quali si sarebbe potuto esporre.

Un riferimento all’importanza dell’istruzione per sottrarre i giovani alla strada e alla violenza.
(“Can a boy who drops out a school/ at 13 years of age/ answer the Q of life and death/ when it slaps him in the face?”)
Come può un ragazzino di soli tredici anni, che ha lasciato la scuola, rispondere alle domande sulla vita e la morte, nel momento in cui la vita stessa lo prende a pesci in faccia?
(“Who’s to blame when he’s got no place to go/and all he’s got is the sense to know/ that a life of crime ‘ll help him beat you in the race/ Help him beat you in the race”)
Di chi mai potrà essere la colpa, nel momento in cui non avrà un posto dove andare e tutto quello di cui è consapevole è che per poterti battere ha un’unica strada da percorrere: quella del crimine.
Arriva proprio a questo punto la figura mefistofelica di Spooky Electric, il grande seduttore di menti.
È lui, che ci si para davanti quasi all’improvviso, nel momento in cui Prince chiede al coro di ragazzi e ragazze di fargli da supporto, di cantare tutti insieme.
(“you are the new kings of the world” – dice, riferendosi a loro, c’è molto sarcasmo in questa espressione)

Subito dopo, arriva la virata sulla realtà distopica. Sulla lettura della realtà circostante come una realtà distopica.
(“In every man’s life there will be an hang-up/ a whirlwind designed to slow you down/ it cuts like a knife and tries to get in you/ this Spooky Electric sound/give up if you want to and all is lost/Spooky Electric will be your boss”)
Nella vita di ognuno di noi ci sarà una specie di punto di non ritorno: Spooky Electric proverà con la sua opera di seduzione, con il suo lavaggio del cervello: se volete, potete anche arrendervi a tutto questo, ma poi sarà tutto perduto, badate bene!
(e qui, nemmeno tanto velatamente, c’è il riferimento alla società dominata dai mass-media: già allora, ma anche, a livello personale, c’era un attacco contro lo strapotere delle case di produzione discografica contro cui, di lì a poco, Prince avrebbe iniziato una lotta di carattere epico)

(“Call People magazine, Rolling Stone/ call your next of kin, cause you’re ass is gone”)
Chiama in tuo soccorso tutti quelli che puoi, anche i tuoi parenti più stretti: il tuo culo, infatti, è bello che andato.
(“He’s got a 57 mag with the price tag still on the side”)
Ha dalla sua la forza delle armi, appena comprate: hanno ancora il cartellino del prezzo attaccato da una parte.
(“ ‘cause when Spooky say dead, you better say died”)
Quando Spooky dice: ‘muori!’ Sarebbe molto meglio per te se avesse detto: ‘morto!’ ”
Però un’alternativa a tutto questo esiste. Prince stesso ce la indica.

(“Or you can fly high by Spooky and all that he crawls for/Spooky and all that he crawls for”)
Puoi tenerti bene alla larga da Spooky, volare alto, rispetto a lui e rispetto a tutto ciò per cui striscia.
(non usa metafore complicate, in questo caso: tutto molto chiaro, smettetela di farvi ingannare da quel serpente, da quel verme)
(“Dont kiss the beast!”)
Spooky è come Satana: evitate di innamorarvi di lui!
Quali sono le alternative?
“Love and honesty, peace and harmony”, I “pezzi forti” con cui Prince, all’interno di Lovesexy, intendeva sostituire la fase dark e pericolosa rappresentata dal Black Album.
Ed ecco che – proprio inconclusione – arriva l’imperativo:
“Hold on to your soul, you got a long way to go”: tieniti stretta la tua anima, hai ancora molta strada da fare, davanti a te.
Fonti:
-princevault.com
– Jim Walsh, «St. Paul Pioneer Press»
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