Siamo sempre dentro questo lunghissimo piano-sequenza: Neal Karlen, giornalista di Rolling Stone, tiene in mano la macchina da presa e Prince è il soggetto che sta seguendo.
Da un po’. Da ore, ormai.
In una specie di scorribanda che li vede protagonisti dentro e fuori Minneapolis.
Per la prima volta Prince, da tre anni a quella parte, permette a qualcuno di seguirlo e di raccontarlo per quello che è. Per la prima volta si lascia affiancare, osservare e descrivere da qualcuno.
A noi, ai nostri occhi, resta una cronaca preziosissima, quasi unica nel suo genere, perché ci permette di vederlo da vicino, come fossimo lì, insieme a Neal. E ci consente di osservare dal vivo particolari della sua vita che Prince non aveva fatto mai conoscere a nessuno, prima di allora.
Torniamo al nostro racconto.
Fino a qualche minuto prima quei due ragazzi si trovavano nel quartiere in cui Prince era nato e cresciuto: North Minneapolis. Avevano gironzolato qua e là, fino ad arrivare a casa del vecchio John Nelson.
È il giorno del compleanno del vecchio John: Prince e suo padre hanno intenzione di sfidarsi in una partita a biliardo, vecchio amore di entrambi.
Salgono in macchina per arrivare a Eden Prairie, un sobborgo poco fuori Minneapolis, dove troveranno un biliardo su cui sfidarsi.
Il vecchio John si trova sulla sua BMW viola (regalo arrivato da suo figlio, subito dopo Purple Rain) e segue immediatamente Prince e Neal, che si trovano invece sulla T-Bird bianca di Prince, quella che una volta apparteneva a suo padre.
Non manca molto all’arrivo, ormai.
Durante il tragitto per arrivare al capannone di Eden Prairie, c’è un bel momento di confidenza da parte di Prince.
“Nearing the turnoff that leads from Minneapolis to suburban Eden Prairie, Prince flips in another tape and peeks in the rearview mirror”
(mentre ci avviciniamo al bivio che porta da Minneapolis a Eden Prairie, Prince mette un altro nastro e sbircia nello specchietto retrovisore)
Vede suo padre che guida e si avventura in una inedita confessione.
(per mitigare la durezza insopportabile di quella che gli aveva fatto poco prima, davanti alla cabina telefonica?)
(in certi punti di questo discorso è difficile persino capire se Prince stia parlando di sé, mentre sta parlando di suo padre)
“John Nelson is still right behind”(1)
“It’s real hard for my father to show emotion”- says Prince, heading onto the highway.
(“è davvero difficile per mio padre mostrare emozioni” – dice Prince, mentre si dirige verso l’autostrada)
L’ammissione che segue subito dopo è ancora più importante. Resterà un unicum, all’interno delle centinaia di interviste concesse da Prince nel corso di una intera carriera.
(seconda, forse, solo all’episodio del suo pianto disperato nella cabina telefonica)
Ci troviamo forse di fronte ad un tentativo da parte di Prince di giustificare l’agire del padre.
(reazione ricorrente nelle parole dei figli non amati e traumatizzati dalle violenze: non sono in grado di leggere chiaramente dentro di sé e di gestire l’aggressività che è cresciuta dentro di loro nel tempo)
Talvolta provano ad esternarla (vedi: racconto sulla cabina telefonica), ma poi gli individui sono presi dal senso di colpa e ne esce fuori una sorta di corto circuito emotivo che dice tutto da solo.
Spesso i figli non amati si arrampicano sugli specchi, per giustificare, per smussare, pur di non dover gestire il dolore antico, pur di non raccontarlo per ciò che è stato: intollerabile.
(è quello che si verifica nel corso del dialogo tra Prince e Neal, da adesso in poi)
Prince tenta di addolcire ciò che è comunque lampante: tuo padre è stato violento con te, è stato incapace di amare e di amarti per quello che eri.
Tutto qui.
In occasione del compleanno di John – ci troviamo di fronte all’incontro/scontro di due zone di rispetto che non si erano mai intersecate troppo, fino ad allora.
Quando lo avevano fatto, in precedenza, ne erano venute fuori scintille, molto dolorose da ammettere, per Prince. Per il Prince di questo momento luminoso della sua vita, subito dopo Purple Rain.
Due mondi che non si erano mai incontrati e che adesso erano costretti a farlo, perché avevano gli occhi di tutti puntati addosso.
Illuminante, a questo proposito, nel racconto fatto da Prince, è il particolare delle teste di padre e figlio che si scontrano, nel momento in cui tentano di abbracciarsi: si tratta di un gesto desueto, tra loro, evidentemente, un gesto al quale non erano abituati.
Fino al successo planetario di questo figlio così trascurato e abbandonato a se stesso fino a poco prima.
Un successo con cui fare i conti, da una parte e dall’altra. Un successo che inevitabilmente metteva sotto i riflettori questo loro rapporto sbilenco. Bisognava salvare il salvabile.
Ecco le parole di Prince:
“He never says, ‘I love you’ and when we hug or something, we bang our heads together like in some Charlie Chaplin movie. But a while ago, he was telling me how I always had to be careful. My father told me: ‘If anything happens to you, I’m gone’ All I thought at first was that it was a real nice thing to say. But then I thought about it for a while and realized something. That was my father’s way of saying ‘I love you’ ”
(“Lui [John] non dice mai ‘ti voglio bene’ e quando ci abbracciamo o cose del genere, ci scontriamo con le teste, come accade nei film di Charlie Chaplin. Tuttavia, un po’ di tempo fa, [mio padre] mi stava raccomandando di fare sempre attenzione. Mio padre mi ha detto: ‘Se ti dovesse accadere qualcosa, ne morirei’. Tutto quello che ho pensato all’inizio è stato che si trattava di una cosa davvero carina da dire, ma poi ci ho pensato su per un po’ e sono arrivato ad una conclusione. Che quello era il modo in cui mio padre mi diceva ‘Ti voglio bene’ ”)
(se le dichiarazioni di affetto sono intercalate da pensieri/timori di morte, il livello, il senso, la direzione sono chiarissimi: uno spostamento, a tutti gli effetti, quello operato da Prince nel suo racconto)
(perché, quando non sei stato amato da bambino, ti abitui ad accontentarti delle briciole di affetto; a volte le guardi con una specie di lente di ingrandimento, che te le fa apparire gigantesche e questo ti gratifica dentro, lenisce il dolore, ma quelle restano ciò che sono: delle briciole)
“A few minutes later, Prince and his father pull in front of the Warehouse, a concrete barn in an Eden Prairie industrial park. Inside, the Family, a rock-funk band that Prince has been working with, is pounding out new songs and dance routines. The group is as tight as ace drummer Jellybean Johnson’s pants. At the end of one hot number, Family members fall on their backs, twitching like fried eggs”
(“qualche minuto più tardi Prince e suo padre parcheggiano davanti al Warehouse, un capannone in cemento nella zona industriale di Eden Prairie, dentro The Family, una band rock-funk con cui Prince ha collaborato, sta eseguendo nuove canzoni e delle coreografie, il gruppo è molto affiatato: alla fine di un numero davvero bollente, i membri della Family cadono sulle loro schiene, muovendosi come uova che sfrigolano”)
(il Warehouse, a Eden Prairie, è un luogo mitico di quegli anni: Prince lo utilizza per suonare, per provare le coreografie ed i pezzi per i tour; fa anche un po’ da magazzino, quale sarebbe in realtà, e viene utilizzato anche dalle band che Prince sostiene nel frattempo, mentre porta avanti il milione di cose che è abituato a fare ogni giorno)
“Prince and his father enter to hellos from the still-gyrating band. Prince goes over to a pool table by the soundboard, racks the balls and shimmies to the beat of the Family’s next song. Taking everything in, John Nelson gives a professional nod to the band, his son’s rack job and his own just-chalked cue. He hitches his shoulders, takes aim and breaks like Minnesota Fats. A few minutes later, the band is still playing and the father is still shooting. Prince, son to this father and father to this band, is smiling”
(l’entrata dei due è accolta calorosamente, così come è calorosa la loro risposta; la band continua a suonare ed i due giocano a biliardo; Prince sorride)
“The night before, in the Warehouse, Prince is about to break his three-year public silence. Wearing a jump suit, powder-blue boots and a little crucifix on a chain, he dances with the Family for a little while, plays guitar for a minute, sings lead for a second, then noodles four-handed keyboard with Susannah Melvoin, Wendy’s identical-twin sister”
(la notte prima, al Warehouse, Prince, incontrando Neal, ha rotto il silenzio, che durava da tre anni. Indossa una tuta intera, quella sera, stivali celeste polvere ed un piccolo crocifisso che ciondola da una catena, ha ballato con The Family per un po’, suonato la chitarra per un altro po’, cantato da solo, poi ha eseguito un pezzo a quattro mani con Susannah, gemella di Wendy e compagna di Prince in quel periodo”)
“Seeing me at the door, Prince comes over”
(vedendomi alla porta si è avvicinato)
Prince è stato sempre molto ospitale e gentile con le persone di cui sentiva di potersi fidare. Non è sempre stato l’individuo respingente che tutti credevano che fosse:
“Hi” – he whispers, offering a hand – “want something to eat or drink?”
(“hey” – sussurra, tendendo la mano – “vuoi qualcosa da mangiare o da bere?”)
(Prince si preoccupa sempre del benessere di suoi ospiti)
“On the table in front of the band are piles of fruit and a couple bags of Doritos. Six different kinds of tea sit on a shelf by the wall. No drugs, no booze, no coffee. Prince plays another lick or two and watches for a few more minutes, then waves goodbye to the band and heads for his car outside the concrete barn”
(sul tavolo di fronte a dove si esibisce la band ci sono piramidi di frutta e un paio di confezioni di Doritos. Sei tipi diversi di the, posizionati su uno scaffale vicino al muro. Niente droghe, alcool, niente caffè. Prince suona ancora uno o due lick ed osserva la situazione per alcuni minuti, poi saluta la band e si dirige verso la sua macchina, fuori dal capannone di cemento)
“I’m not used to this” – mumbles Prince, staring straight ahead through the windshield of his parked car – “I really thought I’d never do interviews again”
(“non sono abituato a tutto questo” – borbotta Prince, guardando dritto davanti a sé attraverso il parabrezza della sua auto parcheggiata – “ho davvero pensato che non avrei mai più rilasciato interviste”)
“We drive for twenty minutes, talking about Minnesota’s skies, air and cops. Gradually, his voice comes up, bringing with it inflections, hand gestures and laughs”
(guidiamo per una ventina di minuti, parlando di cieli, aria e poliziotti del Minnesota: a poco a poco il volume della sua voce si alza, portandosi dietro le inflessioni, i gesti delle mani e le risate)
Quello che segue subito dopo è un elemento importante, quasi storico: Neal Karlen è una delle tre persone a conoscenza del nuovo progetto di Prince. Ha da poco acquistato un terreno su cui intende creare il suo nuovo studio di registrazione. Non si tratterà di un semplice studio di registrazione, ma di qualcosa di sensazionalmente diverso: Paisley Park.
“Soon after driving past a field that will house a state-of-the-art recording studio named Paisley Park, we pull down a quiet suburban street and up to the famous Purple House. Prince waves to a lone, unarmed guard in front of a chain-link fence”
(subito dopo aver superato un appezzamento di terra che ospiterà uno studio di registrazione all’avanguardia che si chiamerà Paisley Park, percorriamo una tranquilla strada di periferia e saliamo verso la famosa Purple House: Prince saluta una guardia del corpo solitaria e non armata piazzata di fronte ad una recinzione a maglie di ferro)
La stampa scandalistica di quel periodo (National Enquirer su tutti, ma non era stato il solo ad accanirsi su di lui) aveva da poco pubblicato racconti deliranti su quello che avveniva in casa di Prince, racconti totalmente inventati sulle sue presunte abitudini folli, quasi diaboliche.
Niente di tutto questo era presente nella sua vita quotidiana: Prince è sempre stato un uomo di pace e del tutto schivo, nei momenti in cui non si trovava sul palco.
Nella sua vita e nella vita di tutti quelli che lo circondavano, poi, le armi e gli strumenti di violenza erano totalmente banditi.
Quella sera, quando Prince e Neal arrivano, a protezione della Purple House, c’è solo una guardia del corpo, ferma davanti al cancello.
“The unremarkable split-level house, just a few yards back from the minimum security, is quiet. No fountains out front, no swimming pools in back, no black-faced icons of Yahweh or Lucifer”
(la quasi insignificante casa a due livelli, che si trova a pochi metri da quel livello minimale di sorveglianza, è tranquilla: nessuna fontana di fronte, nessuna piscina sul retro, niente icone di Yahweh o di Lucifero)
“We’re here” – says Prince, grinning – “Come on in”
(“Eccoci arrivati” – dice Prince sorridendo – “Entra pure”)
Prince era una persona davvero piena di calore per quelli che considerava suoi amici. E Neal era per lui un amico. Già da allora.
“One look inside tells the undramatic story. Yes, it seems the National Enquirer – whose Minneapolis exposé of Prince was excerpted in numerous other newspapers this spring—was exaggerating”
(uno sguardo all’interno rivela immediatamente che non c’è nulla di rilevante: sì, sembra proprio che il National Enquirer – il cui resoconto sulla vita di Prince a Minneapolis era stato ripreso da numerose altre testate poche settimane fa – abbia esagerato)
“No, the man does not live in an armed fortress with only a food taster and wall-to-wall, life-size murals of Marilyn Monroe to talk to. Indeed, if a real-estate agent led a tour through Prince’s house, one would guess that the resident was, at most, a hip suburban surgeon who likes deep-pile carpeting”
(no: il nostro uomo non vive in una fortezza armata, tenendosi accanto, quasi muro a muro, solo un assaggiatore di cibi e murali a grandezza naturale di Marilyn Monroe con cui parlare; piuttosto, se un agente immobiliare ci facesse fare il giro della casa di Prince, potremmo supporre che, tutt’al più, l’abitante di questa casa sia un chirurgo alla moda che vive in periferia e che ama la moquette a pelo lungo)
L’assistente lo saluta dalla cucina.
“Hi”- says Rande, from the kitchen – “you got a couple of messages”
(“Hai un paio di messaggi”)
“Prince thanks her and offers up some homemade chocolate-chip cookies. He takes a drink from a water cooler emblazoned with a Minnesota North Stars sticker and continues the tour”
(Prince la ringrazia e mi offre un po’ di biscotti con gocce di cioccolato fatti in casa, poi prende un bicchiere d’acqua da un distributore su cui troneggia un adesivo dei Minnesota North Stars, poi continua il giro della casa)
“This place” – he says – “is not a prison. And the only things it’s a shrine to are Jesus, love and peace”
(“Questo posto non è una prigione e le sole cose a cui è dedicato un santuario sono Gesù, l’amore, la pace”)
“Off the kitchen is a living room that holds nothing your aunt wouldn’t have in her house. On the mantel are framed pictures of family and friends, including one of John Nelson playing a guitar. There’s a color TV and VCR, a long coffee table supporting a dish of jellybeans, and a small silver unicorn by the mantel. Atop the large mahogany piano sits an oversize white Bible”
(fuori dalla cucina c’è un soggiorno che non contiene nulla che tua zia non terrebbe in casa sua: sulla mensola del camino ci sono foto incorniciate di familiari e amici, inclusa una di John Nelson che suona una chitarra, ci sono un TV color, un videoregistratore; un lungo tavolo basso sorregge un piatto di caramelle gommose e c’è un piccolo unicorno d’argento accanto alla mensola del camino; sopra al grande pianoforte in mogano si trova una Bibbia bianca di grandi dimensioni)
“The only unusual thing in either of the two guest bedrooms is a two-foot statue of a smiling yellow gnome covered by a swarm of butterflies. One of the monarchs is flying out of a heart-shaped hole in the gnome’s chest”
(l’unica cosa insolita in una delle due stanze degli ospiti è una statua alta due piedi di uno gnomo giallo sorridente, coperto da uno sciame di farfalle: una delle monarca sta volando fuori da un buco a forma di cuore sul petto dello gnomo)
“A friend gave that to me, and I put it in the living room” – says Prince – “But some people said it scared them, so I took it out and put it in here”
(“un amico me lo ha regalato ed io l’ho messo in soggiorno” – dice Prince – “ma qualcuno ha detto che gli metteva paura, così l’ho tolto di lì e l’ho messo qui”)
“Downstairs from the living room is a narrow little workroom with recording equipment and a table holding several notebooks”
(al piano inferiore, rispetto al soggiorno, c’è una piccole e stretta stanza da lavoro, con gli apparecchi per la registrazione ed un tavolo su cui si trovano parecchi quaderni)
“Here’s where I recorded all of 1999” – says Prince – “all right in this room”
(“Qui è dove ho registrato 1999” – dice Prince – “Tutto in questa stanza”)
“On a low table in the corner are three Grammys”
(su un tavolo basso nell’angolo ci sono tre Grammy)
“Wendy” – says Prince – “has got the Academy Award”
(“Wendy” – dice Prince – “si è tenuta l’Oscar”)
“The work space leads into the master bedroom. It’s nice. And…normal. No torture devices or questionable appliances, not even a cigarette butt, beer tab or tea bag in sight. A four-poster bed above plush white carpeting, some framed pictures, one of Marilyn Monroe. A small lounging area off the bedroom provides a stereo, a lake-shore view and a comfortable place to stretch out on the floor and talk. And talk he did – his first interview in three years”
(lo spazio da lavoro porta alla camera da letto principale: è carina e…normale; niente strumenti di tortura o elettrodomestici discutibili, nemmeno mozziconi di sigaretta, linguette di lattina di birra o sacchetti da the in vista; un letto a baldacchino sopra una lussuosa moquette bianca, alcune foto incorniciate, una di Marilyn Monroe; ; una piccola zona-relax fuori della stanza da letto è fornita di uno stereo, una vista sulle sponde del lago ed un posto confortevole su cui allungarsi sul pavimento e parlare; e lui parla: nella sua prima intervista concessa in tre anni)
Analizzerò il contenuto dell’intervista vera a propria nell’ultimo dei miei articoli su questo lunghissimo reportage di Neal Karlen, perché l’intervista si trova alla fine del racconto.
A questo punto c’è quindi una dissolvenza. Ci sono le ore trascorse a parlare. Riprende la narrazione della giornata. Siamo sempre dentro alla Purple House.
Neal e Prince sono al piano di sotto, parlano di MTV e di video musicali.
“A few hours later, Prince is kneeling in front of the VCR, showing his ‘Raspberry Beret’ video. He explains why he started the clip with a prolonged clearing of the throat”
(qualche ora più tardi Prince è inginocchiato davanti al videoregistratore, per mostrarmi il suo video di Raspberry Beret: mi spiega perché ha iniziato la clip con uno schiarimento prolungato della gola)
“I just did it to be sick, to do something no one else would do” – he pauses and contemplates – “I turned on MTV to see the premiere of ‘Raspberry Beret’ and Mark Goodman was talking to the guy who discovered the backward message on ‘Darling Nikki’ . They were trying to figure out what the cough meant too, and it was sort of funny”
(“L’ho fatto solo per impressionare, per fare qualcosa che nessun altro farebbe” – si ferma e contempla – “Ho messo su MTV per vedere la première di ‘Raspberry Beret’ e Mark Goodman stava parlando col tipo che ha scoperto il testo capovolto su ‘Darling Nikki’. Stavano provando a capire cosa potesse voler dire la tosse ed è stato piuttosto divertente”)
He pauses again.
“But I’m not getting down on him for trying. I like that. I’ve always had little hidden messages, and I always will”
(si ferma di nuovo: “Ma non gli rimprovero il fatto di averci provato. Mi piace. Ho sempre messo piccoli messaggi nascosti e lo farò sempre”)
He then plugs in a videocassette of ‘4 the Tears in Your Eyes’ which he’s just sent to the Live Aid folks for the big show.
“I hope they like it” – he said, shrugging his shoulders.
(Prince fa vedere a Neal il materiale preparato per il Live Aid)
The phone rings, and Prince picks it up in the kitchen.
(suona il telefono e Prince prende la chiamata dalla cucina)
“We’ll be there in twenty minutes” – he says, hanging up. Heading downstairs, Prince swivels his head and smiles.
(“Saremo lì in venti minuti” – dice, riattaccando. Scendendo al piano di sotto, Prince gira la testa e sorride)
“Just gonna change clothes”
(“Cambierò solo i vestiti”)
He comes back a couple minutes later wearing another paisley jump suit.
(Ritorna un paio di minuti dopo indossando un’altra tuta intera a disegni paisley)
“the only kind of clothes I own”
(“Il solo tipo di abiti che possiedo”)
And the boots?
“People say I’m wearing heels because I’m short” – he says, laughing – “I wear heels because the women like ’em”
(…e gli stivali?)
(“La gente dice che indosso i tacchi perché sono basso” – dice ridendo – “Indosso i tacchi perché piacciono alle donne”)
(1)Fonte: Neal Karlen: “Prince talks”, Rolling Stone, settembre 1985