YOU ARE THE ARTIST

 

“THIS TOWN IS MY FREEDOM”

PRINCE: A WONDERFUL TRIP

 “Cosa sei andata a fare fino a Minneapolis?”

“Sono andata a cercare l’uomo, certo non la star!”

COMING SOON ⬇️

PRINCE: HE’S BACK!

Blue Darkness

 

“Mettiti qui, vicino a me!” – mi dici, battendo il palmo della mano sul prato, dopo esserti seduto. 

“Eccomi, arrivo subito” – dico, mentre mi avvicino.

Poggio in terra la borsa. Mi siedo a gambe incrociate. L’erba è morbida. Profumata. Piccoli fiori gialli, ovunque. Un minuscolo ragno si sta arrampicando su uno stelo, che si piega, leggermente, sotto il suo peso.

Mi guardo intorno.

Guardo il grande prato verde che mi circonda. Il ciuffo di alberi in cima alla collinetta che ci sovrasta. Il lago Riley, più in basso. L’acqua di un blu profondo, quasi nero.

 

(il capitolo continua, all’interno del libro in preparazione)

CHI SIAMO

 SKIP, aka ALEXANDER NEVERMIND, aka JAMIE STARR, aka PETER BRAVESTRONG, aka Love Symbol, aka The Artist, aka…

(È sempre lui):

Prince Rogers Nelson

 Maria Letizia Cerica: prinsologa dilettante e semplice voce narrante,  in queste pagine

MLC

l'ideatrice di questo blog

 Sempre lui : Prince Rogers Nelson

PRN

Impossibile farne una descrizione in breve: per saperne di più, scendete nella pagina ⬇️

PURPLE PILLS

STORIE, FRAMMENTI,RECENSIONI, IMMAGINI, VIDEO: TUTTI SU DI LUI, PRINCE ROGERS NELSON, IL NOSTRO SKIP, RACCONTATO NELLA SUA DIMENSIONE UMANA E TERRESTRE

Across the street from McDonald’s, Prince spies a smaller landmark. He points to a vacant corner phone booth and remembers a teenage fight with a strict and unforgiving father. ‘That’s where I called my dad and begged him to take me back after he kicked me out’- he begins softly – ‘He said no, so I called my sister and asked her to ask him. So she did, and afterward told me that all I had to do was call him back, tell him I was sorry, and he’s take me back. So I did, and he still said no. I sat crying at that phone booth for two hours. That’s the last time I cried’

(Neil Karlen, “Prince Talks”, Rolling Stone, 1985)

PERCHÉ QUESTO BLOG?

 Proviamo a raccontare un uomo straordinario, un artista visionario, un essere enigmatico: quello che è stato per tutta la sua vita Prince Rogers Nelson. Irrealistico anche solo pensare di riuscire a dire tutto di lui, a raccontarlo, a circoscriverlo in qualche modo, a definirlo in ogni sua parte. Qui dunque spargeremo solo frammenti, curiosità, gusci d’uovo, che cercheranno di dare un’idea di quello che è stato, di quello che ha rappresentato. Per tutti noi. Per quasi 40 anni. E oltre.

...have a purple day...

PURPLE PILLS

(ideato e realizzato da Maria Letizia Cerica) (con abbondanti e generosi interventi dall'alto) ⬆️

PURPLE PILLS: interviste/articoli

Eye-liner

“C’est ce qu’ont bien compris ces animaux artistes qui se maquillent, les humains. Certains motifs du maquillage ne sont pas de pures inventions de l’imagination humaine, des créations arbitraires: ils sont bio-inspirés. Ils accentuent les pouvoirs éthologiques du survisage humain, ils stylisent encore nostre masque animal.

Les deux cas le plus nets sont justement deux amplifications de contraste pour accentuer l’intensité du regard.

La première technique est l’eye-liner. En accentuant le contraste entre pupille et fond de l’œil par l’ajout d’une enceinte féline sombre, il mime la profondeur du regard de la panthère (elle dispose de naissance de cette ligne noire autour de l’œil).

C’est exactement la même structure sombre/clair/sombre qu’utilise le masque naturel du loup.

Hommes et femmes de théâtre fardent de nuit le tour de l’œil avant de monter sur scène: ils savent depuis toujours que cela en accentue l’expressivité.

Mais cette technique a été inventée par l’evolution des millions d’années avant les acteurs, par la lignée des grands félins, comme par d’autres.

L’eye-liner trouve son origine historique dans la poudre de khôl qui fardait les yeux des Égyptiens des deux sexes. Cette filiation est un indice, un détail révélateur d’une filiation plus profonde, qu’on peut pister jusque dans nos salles de bains.

L’Égipte antique était familière des métis d’animaux et d’humains (avec ses dieux thériantropes, à têtes de fauves, d’oiseaux, de serpents…)

Cette culture antique était aussi familière des survisages de la panthère et de l’antilope: c’était leur faune quotidienne.

Et c’est de l’Égypte antique qui provient une part de notre tradition du maquillage des yeux: dessiner le tour de l’œil, comme on le voit sur les fresques, et probablement aussi assombrir les cils.

Il n’est pas imprudent de conjecturer que le trait de khôl égyptien, donc l’eye-liner, est une technique bio-inspirée qui confère volontairement à l’œil humain l’intensité du regard de la panthère. Une technique qui capture le même amplificateur de contraste que l’évolution a peint sur le survisage de grands félins.

Dans une culture où votre déesse a une tête de lionne, où les animaux ne sont pas des bestioles mais des divinités, prendre leur survisage pour modèle dans l’apprentissage d’une expressivité intensifiée fait parfaitement sens.

Jusqu’à aujourd’hui, même les plus obtus ressentent douloureusement la puissance esthétique d’un survisage de panthère.

La tradition antique y a puisé des leçons de beauté, au sens vivant: la beauté comme manière d’habiter une forme.”

Fonte: Baptiste Morizot, “Manières d’être vivant”, Actes Sud, 2020

LA VITA È FATTA DI FRAMMENTI

Frammenti, validi come premessa

Ho sempre ammirato quelli capaci di creare/vedere grandi sistemi, rispetto al mondo circostante. Quelli che riescono a far coincidere tutti i pezzi della loro cosmologia e tutto il loro universo, una volta completato il lavoro, arriva ad assumere connotati netti e precisi. Ascissa, ordinata. Tutto in ordine.

Non sono mai riuscita ad essere così.

Riesco a fissarmi solo sui particolari. L’universale da sempre mi sfugge.

Spesso anche i particolari – nel particolare – mi sfuggono: nel senso che riesco a focalizzarmi sui frammenti, sulle briciole. Passo ore ed ore a guardare le briciole di realtà, analizzandole a volte in modo ossessivo.

Se mi innamoro di un libro, di un film o di una serie, sono capace di guardare e riguardare decine, centinaia di volte una pagina, una scena, l’inclinazione di un viso, una risata, l’intonazione di una voce, come se tutte queste cose – assolutamente slegate dalla visione d’insieme di quell’opera – potessero improvvisamente spiegarmi il senso della vita.

Da quella briciola pretendo di arrivare alla visione d’insieme.

Penso che sia la strada più sbagliata per arrivare al panorama finale. Scendo verso il basso del mio personalissimo Mont Ventoux, sperando di arrivare a vedere un panorama elevato che avrebbe richiesto ben altra strada, ben altro coraggio visivo.

Metto insieme questi pezzi slegati tra loro, nell’assurda speranza che essi possano indicarmi la giusta via.

Sto lì ad accantonarli, li allineo – uno vicino all’altro – sperando che una bella mattina, dopo essermi alzata da un sonno ristoratore, l’illuminazione arriverà, subito dopo essermi stropicciata gli occhi.

Ecco perché non mi riesce di costruire vere storie. Non riesco ad inventare personaggi: riesco a parlare solo di quelli che esistono già e che – a mio parere – costituiscono un campionario sufficiente per uno scrittore.

È già tutto lì: basta armarsi di pazienza ed osservare, ascoltare, trascrivere. La realtà parla da sola.

Lo so, l’eterno dilemma: se l’artista sia specchio o lampada.

Sono specchio o lampada? Un fiammifero, forse.

Ho quaderni pieni di osservazioni sparse, scritte a mano su quaderni bellissimi (quelli sì).

Osservazioni che dovrebbero essere trascritte, riordinate, cercando di dare loro un verso.

E mentre so che questo sarebbe il lavoro a cui dare priorità, mi metto a scrivere una premessa come questa, all’interno della quale prometto di fare ciò che continuo a rimandare.

(e sempre a Petrarca torniamo: ai suoi buoni propositi irrealizzati)

Ma le premesse – si sa – sono bussole indispensabili. Per capire. Per orizzontarsi. Per procedere.

 

PICS FROM MPLS

Stanze del Midwest
...nove ore di viaggio, una notte che nella tua testa non lo è affatto e ti ritrovi a guardare fuori dalla finestra: ti ricordi all'improvviso che sei su un'isola, che quell'isola è in mezzo al Mississippi e che sei nella città di Skip...
Stanze del Midwest
Ed è guardando da quelle persiane che scopri per la prima volta il Mississippi, nella sua grandezza
Il Ponte 1
L'isola in mezzo al Mississippi è collegata alla terraferma da un antico ponte in ferro e legno. Da lì si vede scorrere l'acqua, destinata a percorrere migliaia di chilometri
Il ponte 2
Tra l'isola e la terraferma c'è questo ponte in ferro e legno. Sotto, scorre il Mississippi, placido, limaccioso. Lo osservi, mentre passa sotto i tuoi piedi, trascinandosi dietro qualche tronco raccolto durante il cammino.
Hennepin Bridge
Hennepin Bridge ha un carattere quasi metafisico: fa un salto acrobatico sul Mississippi e ti permette di guardarlo dall'alto, da spettatore minuscolo che immagina contemporaneamente anche altre presenze, oltre alla sua, in altri momenti, in altri tempi
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A LETTER

Dearest Tracy,

thank U 4 your letter. It’s a good feeling 2  know that one’s work is appreciated by others. It’s the main thing that keeps me working. And if I ever make a video with 10-year olds in ’em, you’re invited. (smile)

I would love a picture of you. Don’t worry about what they look like. I take bad pictures all time. I hope U like Purple Rain, it’s a good movie. But, don’t listen 2 the swear words.

Happy birthday, and don’t forget 2 say your prayers. God loves you.

Your Purple friend,

Prince”

...searchin' & findin' Skip in MPLS... (part I)

…sentire scorrere l’acqua, il potere calmante dell’acqua, avere a così breve distanza, praticamente a portata immediata di sguardo, una massa tanto imponente di acqua in continuo movimento, ha avuto su di me un forte potere ipnotico: sono andata di continuo a vederla. Solo chi è cresciuto accanto all’acqua può capirne il fascino irresistibile…

Have a Purple Day

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PILLOLE VIOLA CHE PARLANO DI LUI – DI SKIP – DEL SUO MONDO, DELLA SUA MUSICA

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PILLOLE VIOLA

RANDOMLY GRABBED POSTS

NEAL + PRINCE:A TRIP IN&OUT A (BOY)MAN (IVparte)

Era una persona complessa. Sicuro. Sicurissimo.

Prince aveva una personalità difficile da comprendere, per chiunque, ad un primo sguardo. Ad uno sguardo superficiale. Specie per chi lo vedesse/incontrasse per la prima volta.

(i pochi autorizzati ad entrare all’interno della sua zona di rispetto e solo per il tempo strettamente necessario, ovviamente, e niente di più)

Come molti di noi – egli possedeva molti strati disposti sotto la sua superficie, ma non permetteva a nessuno di scavare là sotto.

Non lo ha mai permesso a nessuno.

Si celava a tutti, dunque.

Mostrava sempre e soltanto quello che ritenesse utile mostrare in quel momento. Niente di più. E mai troppo a lungo.

In questa intervista che concede nel 1985 – dopo anni di silenzio stampa – a Neal Karlen di Rolling Stone egli decide di sembrare abbordabile. Un ragazzo qualunque, arrivato al successo dopo una serie infinita di dolori e difficoltà.

(la pura verità, a dire il vero)

Uno che fa una vita regolare, fatta di lavoro e lavoro.

(il che è perfettamente vero)

Voleva allontanare ogni diceria sui suoi comportamenti bizzarri ed eccolo lì: il ragazzo della porta accanto, timido, ma accessibile.

(il che è anche – altrettanto e assolutamente – vero, sotto un certo punto di vista)

Questa intervista – come ho sottolineato più volte – è una sorta di unicum. Pochi sono riusciti ad avvicinarlo e ad affiancarlo nel modo in cui Neal Karlen ha potuto fare in quell’occasione. Passando così tante ore con lui. Guardandolo muoversi davanti a lui, senza la mediazione di staff e di assistenti personali.

Prince viveva di distanza.

(continua nella sezione articoli)

The Purple House

TALKING ABOUT SKIP

IL MIO ULTIMO LIBRO: "THE BEAUTIFUL PRINCE" (LUGLIO 2022)

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Have a Purple Day

A NEW NEW NEW STORY!

he's back!

PAGE ONE ONE

“Il tuo passato immaginato da me, il nostro supposto futuro” “C’è un tipo di rapporto, l’unico durevole, in cui è come se tra due esseri umani corresse un invisibile filo telegrafico. Dentro di me lo chiamo: ‘Il filo d’oro’ ” “Tutto ho raccolto di te briciole, frammenti, polvere, tracce, supposizioni, accenti restati in voci altrui, qualche grano di sabbia, una conchiglia, il tuo passato immaginato da me, il nostro supposto futuro, ciò che avrei voluto da te, ciò che mi avevi promesso, i miei sogni infantili, certe sciocche rime sulla giovinezza, un papavero sul ciglio di una strada polverosa” (coming soon)

PAGE TWO TWO

Gràphein, Oràn, Èchein “Cara signora Milena, la pioggia che durava da due giorni ed una notte è appena cessata, forse soltanto provvisoriamente, ma è certo un avvenimento degno di essere festeggiato ed io lo faccio, scrivendo a Lei” “Franz, sbagliato, F sbagliato, Tuo, sbagliato, non più, silenzio, bosco profondo” (coming soon)

SENDING/FINDING LOVE

To: Skip, somewhere-nowhere From: (It’s) me Object: need help&(possibly)love:right now! please-please-please, come here! Caro Skip-del-mio-cuor, here we are. Lo so. Sei lì da un po’, a prendere il sole, nel Giardino. Beatamente. Non vuoi seccature e - credimi - ti capisco benissimo. Le persone come me sono una bella rottura di maroni, come glisserebbe - e con ragione - mio figlio. Però. (coming soon)

IPSE DIXIT: CRUMBS FROM HIS INTERVIEWS

IPSE DIXIT

"Once I made it, got my first record contract, got my name on a piece of paper and a little money in my pocket, I was able to forgive. Once I was eating every day, I became a much nicer person" (1985)
MUSICIAN: And what’s your last name? Is it Nelson? PRINCE: I don’t know. (1983)
About Minnesota: “I was born here, unfortunately.” (1977)
"I believe in teachers, but not for me" (1979)
About concerts: “I really don’t have time to make the concerts" (1977)
“Do you get out much?” “No. Not really.” “What age range of young ladies do you like?” “It doesn’t matter.” (1979)
About studying music: "I’ve had about two lessons, but they didn’t help much" (1977)
"We won’t be able to use that. I hate wasting time. I want to hear that song on the radio" (1977)
About music:“I wanted to make a different-sounding record" (1977)
first time he saw his father performing on stage (Prince was a 5 years old boy): "He was up on stage and it was amazing. I remembered thinking, ’These people think my dad is great.’" (1982)
"I think society says if you’ve got a little black in you that’s what you are. I don’t" (Musician, 1983)
About being a performer: "I wanted to be part of that" (1977)
PRINCE: Probably take a long bath. I haven’t had one in a long time. I’m scared of hotel bathtubs. (‘quale sarà la prima cosa che farai, quando tornerai a Minneapolis?’) (‘con ogni probabilità, un lungo bagno, non ne ho fatto uno per parecchio tempo, mi spaventano le vasche da bagno degli hotel’) MUSICIAN: What do you fear? PRINCE: They just...a maid could walk in and see me.
About school: "To this day, I don’t use anything that they taught me. Get your jar, and dissect frogs and stuff like that" 1983

MY PODCASTS ABOUT HIM

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LAST STUFF

Neal + Prince: a trip in&out a (boy) man (III parte)

 

Siamo sempre dentro questo lunghissimo piano-sequenza: Neal Karlen, giornalista di Rolling Stone, tiene in mano la macchina da presa e Prince è il soggetto che sta seguendo.

Da un po’. Da ore, ormai.

In una specie di scorribanda che li vede protagonisti dentro e fuori Minneapolis.

Per la prima volta Prince, da tre anni a quella parte, permette a qualcuno di seguirlo e di raccontarlo per quello che è. Per la prima volta si lascia affiancare, osservare e descrivere da qualcuno.

A noi, ai nostri occhi, resta una cronaca preziosissima, quasi unica nel suo genere, perché ci permette di vederlo da vicino, come fossimo lì, insieme a Neal. E ci consente di osservare dal vivo particolari della sua vita che Prince non aveva fatto mai conoscere a nessuno, prima di allora.

Torniamo al nostro racconto.

Fino a qualche minuto prima quei due ragazzi si trovavano nel quartiere in cui Prince era nato e cresciuto: North Minneapolis. Avevano gironzolato qua e là, fino ad arrivare a casa del vecchio John Nelson.

È il giorno del compleanno del vecchio John: Prince e suo padre hanno intenzione di sfidarsi in una partita a biliardo, vecchio amore di entrambi.

Salgono in macchina per arrivare a Eden Prairie, un sobborgo poco fuori Minneapolis, dove troveranno un biliardo su cui sfidarsi.

Il vecchio John si trova sulla sua BMW viola (regalo arrivato da suo figlio, subito dopo Purple Rain) e segue immediatamente Prince e Neal, che si trovano invece sulla T-Bird bianca di Prince, quella che una volta apparteneva a suo padre.

Non manca molto all’arrivo, ormai.

Durante il tragitto per arrivare al capannone di Eden Prairie, c’è un bel momento di confidenza da parte di Prince.

“Nearing the turnoff that leads from Minneapolis to suburban Eden Prairie, Prince flips in another tape and peeks in the rearview mirror”

(mentre ci avviciniamo al bivio che porta da Minneapolis a Eden Prairie, Prince mette un altro nastro e sbircia nello specchietto retrovisore)

Vede suo padre che guida e si avventura in una inedita confessione.

(per mitigare la durezza insopportabile di quella che gli aveva fatto poco prima, davanti alla cabina telefonica?)

(in certi punti di questo discorso è difficile persino capire se Prince stia parlando di sé, mentre sta parlando di suo padre)

“John Nelson is still right behind”(1)

It’s real hard for my father to show emotion”- says Prince, heading onto the highway.

(“è davvero difficile per mio padre mostrare emozioni” – dice Prince, mentre si dirige verso l’autostrada)

L’ammissione che segue subito dopo è ancora più importante. Resterà un unicum, all’interno delle centinaia di interviste concesse da Prince nel corso di una intera carriera.

(seconda, forse, solo all’episodio del suo pianto disperato nella cabina telefonica)

Ci troviamo forse di fronte ad un tentativo da parte di Prince di giustificare l’agire del padre.

(reazione ricorrente nelle parole dei figli non amati e traumatizzati dalle violenze: non sono in grado di leggere chiaramente dentro di sé e di gestire l’aggressività che è cresciuta dentro di loro nel tempo)

Talvolta provano ad esternarla (vedi: racconto sulla cabina telefonica), ma poi gli individui sono presi dal senso di colpa e ne esce fuori una sorta di corto circuito emotivo che dice tutto da solo.

Spesso i figli non amati si arrampicano sugli specchi, per giustificare, per smussare, pur di non dover gestire il dolore antico, pur di non raccontarlo per ciò che è stato: intollerabile.

(è quello che si verifica nel corso del dialogo tra Prince e Neal, da adesso in poi)

Prince tenta di addolcire ciò che è comunque lampante: tuo padre è stato violento con te, è stato incapace di amare e di amarti per quello che eri.

Tutto qui.

In occasione del compleanno di John – ci troviamo di fronte all’incontro/scontro di due zone di rispetto che non si erano mai intersecate troppo, fino ad allora.

Quando lo avevano fatto, in precedenza, ne erano venute fuori scintille, molto dolorose da ammettere, per Prince. Per il Prince di questo momento luminoso della sua vita, subito dopo Purple Rain.

Due mondi che non si erano mai incontrati e che adesso erano costretti a farlo, perché avevano gli occhi di tutti puntati addosso.

Illuminante, a questo proposito, nel racconto fatto da Prince, è il particolare delle teste di padre e figlio che si scontrano, nel momento in cui tentano di abbracciarsi: si tratta di un gesto desueto, tra loro, evidentemente, un gesto al quale non erano abituati.

Fino al successo planetario di questo figlio così trascurato e abbandonato a se stesso fino a poco prima.

Un successo con cui fare i conti, da una parte e dall’altra. Un successo che inevitabilmente metteva sotto i riflettori questo loro rapporto sbilenco. Bisognava salvare il salvabile.

Ecco le parole di Prince:

He never says, ‘I love you’ and when we hug or something, we bang our heads together like in some Charlie Chaplin movie. But a while ago, he was telling me how I always had to be careful. My father told me: ‘If anything happens to you, I’m gone’ All I thought at first was that it was a real nice thing to say. But then I thought about it for a while and realized something. That was my father’s way of saying ‘I love you’ ”

(“Lui [John] non dice mai ‘ti voglio bene’ e quando ci abbracciamo o cose del genere, ci scontriamo con le teste, come accade nei film di Charlie Chaplin. Tuttavia, un po’ di tempo fa, [mio padre] mi stava raccomandando di fare sempre attenzione. Mio padre mi ha detto: ‘Se ti dovesse accadere qualcosa, ne morirei’. Tutto quello che ho pensato all’inizio è stato che si trattava di una cosa davvero carina da dire, ma poi ci ho pensato su per un po’ e sono arrivato ad una conclusione. Che quello era il modo in cui mio padre mi diceva ‘Ti voglio bene’ ”)

(se le dichiarazioni di affetto sono intercalate da pensieri/timori di morte, il livello, il senso, la direzione sono chiarissimi: uno spostamento, a tutti gli effetti, quello operato da Prince nel suo racconto)

(perché, quando non sei stato amato da bambino, ti abitui ad accontentarti delle briciole di affetto; a volte le guardi con una specie di lente di ingrandimento, che te le fa apparire gigantesche e questo ti gratifica dentro, lenisce il dolore, ma quelle restano  ciò che sono: delle briciole)

“A few minutes later, Prince and his father pull in front of the Warehouse, a concrete barn in an Eden Prairie industrial park. Inside, the Family, a rock-funk band that Prince has been working with, is pounding out new songs and dance routines. The group is as tight as ace drummer Jellybean Johnson’s pants. At the end of one hot number, Family members fall on their backs, twitching like fried eggs”

(“qualche minuto più tardi Prince e suo padre parcheggiano davanti al Warehouse, un capannone in cemento nella zona industriale di Eden Prairie, dentro The Family, una band rock-funk con cui Prince ha collaborato, sta eseguendo nuove canzoni e delle coreografie, il gruppo è molto affiatato: alla fine di un numero davvero bollente, i membri della Family cadono sulle loro schiene, muovendosi come uova che sfrigolano”)

(il Warehouse, a Eden Prairie, è un luogo mitico di quegli anni: Prince lo utilizza per suonare, per provare le coreografie ed i pezzi per i tour; fa anche un po’ da magazzino, quale sarebbe in realtà, e viene utilizzato anche dalle band che Prince sostiene nel frattempo, mentre porta avanti il milione di cose che è abituato a fare ogni giorno)

“Prince and his father enter to hellos from the still-gyrating band. Prince goes over to a pool table by the soundboard, racks the balls and shimmies to the beat of the Family’s next song. Taking everything in, John Nelson gives a professional nod to the band, his son’s rack job and his own just-chalked cue. He hitches his shoulders, takes aim and breaks like Minnesota Fats. A few minutes later, the band is still playing and the father is still shooting. Prince, son to this father and father to this band, is smiling”

(l’entrata dei due è accolta calorosamente, così come è calorosa la loro risposta; la band continua a suonare ed i due giocano a biliardo; Prince sorride)

“The night before, in the Warehouse, Prince is about to break his three-year public silence. Wearing a jump suit, powder-blue boots and a little crucifix on a chain, he dances with the Family for a little while, plays guitar for a minute, sings lead for a second, then noodles four-handed keyboard with Susannah Melvoin, Wendy’s identical-twin sister”

(la notte prima, al Warehouse, Prince, incontrando Neal, ha rotto il silenzio, che durava da tre anni. Indossa una tuta intera, quella sera, stivali celeste polvere ed un piccolo crocifisso che ciondola da una catena, ha ballato con The Family per un po’, suonato la chitarra per un altro po’, cantato da solo, poi ha eseguito un pezzo a quattro mani con Susannah, gemella di Wendy e compagna di Prince in quel periodo”)

“Seeing me at the door, Prince comes over”

(vedendomi alla porta si è avvicinato)

Prince è stato sempre molto ospitale e gentile con le persone di cui sentiva di potersi fidare. Non è sempre stato l’individuo respingente che tutti credevano che fosse:

“Hi” – he whispers, offering a hand – “want something to eat or drink?”

(“hey” – sussurra, tendendo la mano – “vuoi qualcosa da mangiare o da bere?”)

(Prince si preoccupa sempre del benessere di suoi ospiti)

“On the table in front of the band are piles of fruit and a couple bags of Doritos. Six different kinds of tea sit on a shelf by the wall. No drugs, no booze, no coffee. Prince plays another lick or two and watches for a few more minutes, then waves goodbye to the band and heads for his car outside the concrete barn”

(sul tavolo di fronte a dove si esibisce la band ci sono piramidi di frutta e un paio di confezioni di Doritos. Sei tipi diversi di the, posizionati su uno scaffale vicino al muro. Niente droghe, alcool, niente caffè. Prince suona ancora uno o due lick ed osserva la situazione per alcuni minuti, poi saluta la band e si dirige verso la sua macchina, fuori dal capannone di cemento)

I’m not used to this” – mumbles Prince, staring straight ahead through the windshield of his parked car – “I really thought I’d never do interviews again

(“non sono abituato a tutto questo” – borbotta Prince, guardando dritto davanti a sé attraverso il parabrezza della sua auto parcheggiata – “ho davvero pensato che non avrei mai più rilasciato interviste”)

“We drive for twenty minutes, talking about Minnesota’s skies, air and cops. Gradually, his voice comes up, bringing with it inflections, hand gestures and laughs”

(guidiamo per una ventina di minuti, parlando di cieli, aria e poliziotti del Minnesota: a poco a poco il volume della sua voce si alza, portandosi dietro le inflessioni, i gesti delle mani e le risate)

Quello che segue subito dopo è un elemento importante, quasi storico: Neal Karlen è una delle tre persone a conoscenza del nuovo progetto di Prince. Ha da poco acquistato un terreno su cui intende creare il suo nuovo studio di registrazione. Non si tratterà di un semplice studio di registrazione, ma di qualcosa di sensazionalmente diverso: Paisley Park.

“Soon after driving past a field that will house a state-of-the-art recording studio named Paisley Park, we pull down a quiet suburban street and up to the famous Purple House. Prince waves to a lone, unarmed guard in front of a chain-link fence”

(subito dopo aver superato un appezzamento di terra che ospiterà uno studio di registrazione all’avanguardia che si chiamerà Paisley Park, percorriamo una tranquilla strada di periferia e saliamo verso la famosa Purple House: Prince saluta una guardia del corpo solitaria e non armata piazzata di fronte ad una recinzione a maglie di ferro)

La stampa scandalistica di quel periodo (National Enquirer su tutti, ma non era stato il solo ad accanirsi su di lui) aveva da poco pubblicato racconti deliranti su quello che avveniva in casa di Prince, racconti totalmente inventati sulle sue presunte abitudini folli, quasi diaboliche.

Niente di tutto questo era presente nella sua vita quotidiana: Prince è sempre stato un uomo di pace e del tutto schivo, nei momenti in cui non si trovava sul palco.

Nella sua vita e nella vita di tutti quelli che lo circondavano, poi, le armi  e gli strumenti di violenza erano totalmente banditi.

Quella sera, quando Prince e Neal arrivano, a protezione della Purple House, c’è solo una guardia del corpo, ferma davanti al cancello.

“The unremarkable split-level house, just a few yards back from the minimum security, is quiet. No fountains out front, no swimming pools in back, no black-faced icons of Yahweh or Lucifer”

(la quasi insignificante casa a due livelli, che si trova a pochi metri da quel livello minimale di sorveglianza, è tranquilla: nessuna fontana di fronte, nessuna piscina sul retro, niente icone di Yahweh o di Lucifero)

We’re here” – says Prince, grinning – “Come on in

(“Eccoci arrivati” – dice Prince sorridendo – “Entra pure”)

Prince era una persona davvero piena di calore per quelli che considerava suoi amici. E Neal era per lui un amico. Già da allora.

“One look inside tells the undramatic story. Yes, it seems the National Enquirer – whose Minneapolis exposé of Prince was excerpted in numerous other newspapers this spring—was exaggerating”

(uno sguardo all’interno rivela immediatamente che non c’è nulla di rilevante: sì, sembra proprio che il National Enquirer – il cui resoconto sulla vita di Prince a Minneapolis era stato ripreso da numerose altre testate poche settimane fa –  abbia esagerato)

“No, the man does not live in an armed fortress with only a food taster and wall-to-wall, life-size murals of Marilyn Monroe to talk to. Indeed, if a real-estate agent led a tour through Prince’s house, one would guess that the resident was, at most, a hip suburban surgeon who likes deep-pile carpeting”

(no: il nostro uomo non vive in una fortezza armata, tenendosi accanto, quasi muro a muro, solo un assaggiatore di cibi e murali a grandezza naturale di Marilyn Monroe con cui parlare; piuttosto, se un agente immobiliare ci facesse fare il giro della casa di Prince, potremmo supporre che, tutt’al più, l’abitante di questa casa sia un chirurgo alla moda che vive in periferia e che ama la moquette a pelo lungo)

L’assistente lo saluta dalla cucina.

Hi”- says Rande, from the kitchen – “you got a couple of messages

(“Hai un paio di messaggi”)

“Prince thanks her and offers up some homemade chocolate-chip cookies. He takes a drink from a water cooler emblazoned with a Minnesota North Stars sticker and continues the tour”

(Prince la ringrazia e mi offre un po’ di biscotti con gocce di cioccolato fatti in casa, poi prende un bicchiere d’acqua da un distributore su cui troneggia un adesivo dei Minnesota North Stars, poi continua il giro della casa)

This place” – he says – “is not a prison. And the only things it’s a shrine to are Jesus, love and peace

(“Questo posto non è una prigione e le sole cose a cui è dedicato  un santuario sono Gesù, l’amore, la pace”)

“Off the kitchen is a living room that holds nothing your aunt wouldn’t have in her house. On the mantel are framed pictures of family and friends, including one of John Nelson playing a guitar. There’s a color TV and VCR, a long coffee table supporting a dish of jellybeans, and a small silver unicorn by the mantel. Atop the large mahogany piano sits an oversize white Bible”

(fuori dalla cucina c’è un soggiorno che non contiene nulla che tua zia non terrebbe in casa sua: sulla mensola del camino ci sono foto incorniciate di familiari e amici, inclusa una di John Nelson che suona una chitarra, ci sono un TV color, un videoregistratore; un lungo tavolo basso sorregge un piatto di caramelle gommose e c’è un piccolo unicorno d’argento accanto alla mensola del camino; sopra al grande pianoforte in mogano si trova una Bibbia bianca di grandi dimensioni)

“The only unusual thing in either of the two guest bedrooms is a two-foot statue of a smiling yellow gnome covered by a swarm of butterflies. One of the monarchs is flying out of a heart-shaped hole in the gnome’s chest”

(l’unica cosa insolita in una delle due stanze degli ospiti è una statua alta due piedi di uno gnomo giallo sorridente, coperto da uno sciame di farfalle: una delle monarca sta volando fuori da un buco a forma di cuore sul petto dello gnomo)

A friend gave that to me, and I put it in the living room” – says Prince – “But some people said it scared them, so I took it out and put it in here

(“un amico me lo ha regalato ed io l’ho messo in soggiorno” – dice Prince – “ma qualcuno ha detto che gli metteva paura, così l’ho tolto di lì e l’ho messo qui”)

“Downstairs from the living room is a narrow little workroom with recording equipment and a table holding several notebooks”

(al piano inferiore, rispetto al soggiorno, c’è una piccole e stretta stanza da lavoro, con gli apparecchi per la registrazione ed un tavolo su cui si trovano parecchi quaderni)

Here’s where I recorded all of 1999” – says Prince – “all right in this room

(“Qui è dove ho registrato 1999” – dice Prince – “Tutto in questa stanza”)

“On a low table in the corner are three Grammys”

(su un tavolo basso nell’angolo ci sono tre Grammy)

Wendy” – says Prince – “has got the Academy Award

(“Wendy” – dice Prince – “si è tenuta l’Oscar”)

“The work space leads into the master bedroom. It’s nice. And…normal. No torture devices or questionable appliances, not even a cigarette butt, beer tab or tea bag in sight. A four-poster bed above plush white carpeting, some framed pictures, one of Marilyn Monroe. A small lounging area off the bedroom provides a stereo, a lake-shore view and a comfortable place to stretch out on the floor and talk. And talk he did – his first interview in three years”

(lo spazio da lavoro porta alla camera da letto principale: è carina e…normale; niente strumenti di tortura o elettrodomestici discutibili, nemmeno mozziconi di sigaretta, linguette di lattina di birra o sacchetti da the in vista; un letto a baldacchino sopra una lussuosa moquette bianca, alcune foto incorniciate, una di Marilyn Monroe; ; una piccola zona-relax fuori della stanza da letto è fornita di uno stereo, una vista sulle sponde del lago ed un posto confortevole su cui allungarsi sul pavimento e parlare; e lui parla: nella sua prima intervista concessa in tre anni)

Analizzerò il contenuto dell’intervista vera a propria nell’ultimo dei miei articoli su questo lunghissimo reportage di Neal Karlen, perché l’intervista si trova alla fine del racconto.

A questo punto c’è quindi una dissolvenza. Ci sono le ore trascorse a parlare. Riprende la narrazione della giornata. Siamo sempre dentro alla Purple House.

Neal e Prince sono al piano di sotto, parlano di MTV e di video musicali.

“A few hours later, Prince is kneeling in front of the VCR, showing his ‘Raspberry Beret’ video. He explains why he started the clip with a prolonged clearing of the throat”

(qualche ora più tardi Prince è inginocchiato davanti al videoregistratore, per mostrarmi il suo video di Raspberry Beret: mi spiega perché ha iniziato la clip con uno schiarimento prolungato della gola)

I just did it to be sick, to do something no one else would do” – he pauses and contemplates – “I turned on MTV to see the premiere of ‘Raspberry Beret’ and Mark Goodman was talking to the guy who discovered the backward message on ‘Darling Nikki’ . They were trying to figure out what the cough meant too, and it was sort of funny

(“L’ho fatto solo per impressionare, per fare qualcosa che nessun altro farebbe” – si ferma e contempla – “Ho messo su MTV per vedere la première di ‘Raspberry Beret’ e Mark Goodman stava parlando col tipo che ha scoperto  il testo capovolto su ‘Darling Nikki’. Stavano provando  a capire cosa potesse voler dire la tosse  ed è stato piuttosto divertente”)

He pauses again.

But I’m not getting down on him for trying. I like that. I’ve always had little hidden messages, and I always will

(si ferma di nuovo: “Ma non gli rimprovero il fatto di averci provato. Mi piace. Ho sempre messo piccoli messaggi nascosti e lo farò sempre”)

He then plugs in a videocassette of ‘4 the Tears in Your Eyes’ which he’s just sent to the Live Aid folks for the big show.

I hope they like it” – he said, shrugging his shoulders.

(Prince fa vedere a Neal il materiale preparato per il Live Aid)

The phone rings, and Prince picks it up in the kitchen.

(suona il telefono e Prince prende la chiamata dalla cucina)

We’ll be there in twenty minutes” – he says, hanging up. Heading downstairs, Prince swivels his head and smiles.

(“Saremo lì in venti minuti” – dice, riattaccando. Scendendo al piano di sotto, Prince gira la testa e sorride)

Just gonna change clothes

(“Cambierò solo i vestiti”)

He comes back a couple minutes later wearing another paisley jump suit.

(Ritorna un paio di minuti dopo indossando un’altra tuta intera a disegni paisley)

the only kind of clothes I own

(“Il solo tipo di abiti che possiedo”)

And the boots?

People say I’m wearing heels because I’m short” – he says, laughing – “I wear heels because the women like ’em

(…e gli stivali?)

(“La gente dice che indosso i tacchi perché sono basso” – dice ridendo – “Indosso i tacchi perché piacciono alle donne”)

(1)Fonte: Neal Karlen: “Prince talks”, Rolling Stone, settembre 1985

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marialetiziacerica

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Lillian Morgan

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