YOU ARE THE ARTIST

 

“THIS TOWN IS MY FREEDOM”

PRINCE: A WONDERFUL TRIP

 “Cosa sei andata a fare fino a Minneapolis?”

“Sono andata a cercare l’uomo, certo non la star!”

COMING SOON ⬇️

PRINCE: HE’S BACK!

Blue Darkness

 

“Mettiti qui, vicino a me!” – mi dici, battendo il palmo della mano sul prato, dopo esserti seduto. 

“Eccomi, arrivo subito” – dico, mentre mi avvicino.

Poggio in terra la borsa. Mi siedo a gambe incrociate. L’erba è morbida. Profumata. Piccoli fiori gialli, ovunque. Un minuscolo ragno si sta arrampicando su uno stelo, che si piega, leggermente, sotto il suo peso.

Mi guardo intorno.

Guardo il grande prato verde che mi circonda. Il ciuffo di alberi in cima alla collinetta che ci sovrasta. Il lago Riley, più in basso. L’acqua di un blu profondo, quasi nero.

 

(il capitolo continua, all’interno del libro in preparazione)

CHI SIAMO

 SKIP, aka ALEXANDER NEVERMIND, aka JAMIE STARR, aka PETER BRAVESTRONG, aka Love Symbol, aka The Artist, aka…

(È sempre lui):

Prince Rogers Nelson

 Maria Letizia Cerica: prinsologa dilettante e semplice voce narrante,  in queste pagine

MLC

l'ideatrice di questo blog

 Sempre lui : Prince Rogers Nelson

PRN

Impossibile farne una descrizione in breve: per saperne di più, scendete nella pagina ⬇️

PURPLE PILLS

STORIE, FRAMMENTI,RECENSIONI, IMMAGINI, VIDEO: TUTTI SU DI LUI, PRINCE ROGERS NELSON, IL NOSTRO SKIP, RACCONTATO NELLA SUA DIMENSIONE UMANA E TERRESTRE

Across the street from McDonald’s, Prince spies a smaller landmark. He points to a vacant corner phone booth and remembers a teenage fight with a strict and unforgiving father. ‘That’s where I called my dad and begged him to take me back after he kicked me out’- he begins softly – ‘He said no, so I called my sister and asked her to ask him. So she did, and afterward told me that all I had to do was call him back, tell him I was sorry, and he’s take me back. So I did, and he still said no. I sat crying at that phone booth for two hours. That’s the last time I cried’

(Neil Karlen, “Prince Talks”, Rolling Stone, 1985)

PERCHÉ QUESTO BLOG?

 Proviamo a raccontare un uomo straordinario, un artista visionario, un essere enigmatico: quello che è stato per tutta la sua vita Prince Rogers Nelson. Irrealistico anche solo pensare di riuscire a dire tutto di lui, a raccontarlo, a circoscriverlo in qualche modo, a definirlo in ogni sua parte. Qui dunque spargeremo solo frammenti, curiosità, gusci d’uovo, che cercheranno di dare un’idea di quello che è stato, di quello che ha rappresentato. Per tutti noi. Per quasi 40 anni. E oltre.

...have a purple day...

PURPLE PILLS

(ideato e realizzato da Maria Letizia Cerica) (con abbondanti e generosi interventi dall'alto) ⬆️

PURPLE PILLS: interviste/articoli

Eye-liner

“C’est ce qu’ont bien compris ces animaux artistes qui se maquillent, les humains. Certains motifs du maquillage ne sont pas de pures inventions de l’imagination humaine, des créations arbitraires: ils sont bio-inspirés. Ils accentuent les pouvoirs éthologiques du survisage humain, ils stylisent encore nostre masque animal.

Les deux cas le plus nets sont justement deux amplifications de contraste pour accentuer l’intensité du regard.

La première technique est l’eye-liner. En accentuant le contraste entre pupille et fond de l’œil par l’ajout d’une enceinte féline sombre, il mime la profondeur du regard de la panthère (elle dispose de naissance de cette ligne noire autour de l’œil).

C’est exactement la même structure sombre/clair/sombre qu’utilise le masque naturel du loup.

Hommes et femmes de théâtre fardent de nuit le tour de l’œil avant de monter sur scène: ils savent depuis toujours que cela en accentue l’expressivité.

Mais cette technique a été inventée par l’evolution des millions d’années avant les acteurs, par la lignée des grands félins, comme par d’autres.

L’eye-liner trouve son origine historique dans la poudre de khôl qui fardait les yeux des Égyptiens des deux sexes. Cette filiation est un indice, un détail révélateur d’une filiation plus profonde, qu’on peut pister jusque dans nos salles de bains.

L’Égipte antique était familière des métis d’animaux et d’humains (avec ses dieux thériantropes, à têtes de fauves, d’oiseaux, de serpents…)

Cette culture antique était aussi familière des survisages de la panthère et de l’antilope: c’était leur faune quotidienne.

Et c’est de l’Égypte antique qui provient une part de notre tradition du maquillage des yeux: dessiner le tour de l’œil, comme on le voit sur les fresques, et probablement aussi assombrir les cils.

Il n’est pas imprudent de conjecturer que le trait de khôl égyptien, donc l’eye-liner, est une technique bio-inspirée qui confère volontairement à l’œil humain l’intensité du regard de la panthère. Une technique qui capture le même amplificateur de contraste que l’évolution a peint sur le survisage de grands félins.

Dans une culture où votre déesse a une tête de lionne, où les animaux ne sont pas des bestioles mais des divinités, prendre leur survisage pour modèle dans l’apprentissage d’une expressivité intensifiée fait parfaitement sens.

Jusqu’à aujourd’hui, même les plus obtus ressentent douloureusement la puissance esthétique d’un survisage de panthère.

La tradition antique y a puisé des leçons de beauté, au sens vivant: la beauté comme manière d’habiter une forme.”

Fonte: Baptiste Morizot, “Manières d’être vivant”, Actes Sud, 2020

LA VITA È FATTA DI FRAMMENTI

Frammenti, validi come premessa

Ho sempre ammirato quelli capaci di creare/vedere grandi sistemi, rispetto al mondo circostante. Quelli che riescono a far coincidere tutti i pezzi della loro cosmologia e tutto il loro universo, una volta completato il lavoro, arriva ad assumere connotati netti e precisi. Ascissa, ordinata. Tutto in ordine.

Non sono mai riuscita ad essere così.

Riesco a fissarmi solo sui particolari. L’universale da sempre mi sfugge.

Spesso anche i particolari – nel particolare – mi sfuggono: nel senso che riesco a focalizzarmi sui frammenti, sulle briciole. Passo ore ed ore a guardare le briciole di realtà, analizzandole a volte in modo ossessivo.

Se mi innamoro di un libro, di un film o di una serie, sono capace di guardare e riguardare decine, centinaia di volte una pagina, una scena, l’inclinazione di un viso, una risata, l’intonazione di una voce, come se tutte queste cose – assolutamente slegate dalla visione d’insieme di quell’opera – potessero improvvisamente spiegarmi il senso della vita.

Da quella briciola pretendo di arrivare alla visione d’insieme.

Penso che sia la strada più sbagliata per arrivare al panorama finale. Scendo verso il basso del mio personalissimo Mont Ventoux, sperando di arrivare a vedere un panorama elevato che avrebbe richiesto ben altra strada, ben altro coraggio visivo.

Metto insieme questi pezzi slegati tra loro, nell’assurda speranza che essi possano indicarmi la giusta via.

Sto lì ad accantonarli, li allineo – uno vicino all’altro – sperando che una bella mattina, dopo essermi alzata da un sonno ristoratore, l’illuminazione arriverà, subito dopo essermi stropicciata gli occhi.

Ecco perché non mi riesce di costruire vere storie. Non riesco ad inventare personaggi: riesco a parlare solo di quelli che esistono già e che – a mio parere – costituiscono un campionario sufficiente per uno scrittore.

È già tutto lì: basta armarsi di pazienza ed osservare, ascoltare, trascrivere. La realtà parla da sola.

Lo so, l’eterno dilemma: se l’artista sia specchio o lampada.

Sono specchio o lampada? Un fiammifero, forse.

Ho quaderni pieni di osservazioni sparse, scritte a mano su quaderni bellissimi (quelli sì).

Osservazioni che dovrebbero essere trascritte, riordinate, cercando di dare loro un verso.

E mentre so che questo sarebbe il lavoro a cui dare priorità, mi metto a scrivere una premessa come questa, all’interno della quale prometto di fare ciò che continuo a rimandare.

(e sempre a Petrarca torniamo: ai suoi buoni propositi irrealizzati)

Ma le premesse – si sa – sono bussole indispensabili. Per capire. Per orizzontarsi. Per procedere.

 

PICS FROM MPLS

Stanze del Midwest
...nove ore di viaggio, una notte che nella tua testa non lo è affatto e ti ritrovi a guardare fuori dalla finestra: ti ricordi all'improvviso che sei su un'isola, che quell'isola è in mezzo al Mississippi e che sei nella città di Skip...
Stanze del Midwest
Ed è guardando da quelle persiane che scopri per la prima volta il Mississippi, nella sua grandezza
Il Ponte 1
L'isola in mezzo al Mississippi è collegata alla terraferma da un antico ponte in ferro e legno. Da lì si vede scorrere l'acqua, destinata a percorrere migliaia di chilometri
Il ponte 2
Tra l'isola e la terraferma c'è questo ponte in ferro e legno. Sotto, scorre il Mississippi, placido, limaccioso. Lo osservi, mentre passa sotto i tuoi piedi, trascinandosi dietro qualche tronco raccolto durante il cammino.
Hennepin Bridge
Hennepin Bridge ha un carattere quasi metafisico: fa un salto acrobatico sul Mississippi e ti permette di guardarlo dall'alto, da spettatore minuscolo che immagina contemporaneamente anche altre presenze, oltre alla sua, in altri momenti, in altri tempi
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A LETTER

Dearest Tracy,

thank U 4 your letter. It’s a good feeling 2  know that one’s work is appreciated by others. It’s the main thing that keeps me working. And if I ever make a video with 10-year olds in ’em, you’re invited. (smile)

I would love a picture of you. Don’t worry about what they look like. I take bad pictures all time. I hope U like Purple Rain, it’s a good movie. But, don’t listen 2 the swear words.

Happy birthday, and don’t forget 2 say your prayers. God loves you.

Your Purple friend,

Prince”

...searchin' & findin' Skip in MPLS... (part I)

…sentire scorrere l’acqua, il potere calmante dell’acqua, avere a così breve distanza, praticamente a portata immediata di sguardo, una massa tanto imponente di acqua in continuo movimento, ha avuto su di me un forte potere ipnotico: sono andata di continuo a vederla. Solo chi è cresciuto accanto all’acqua può capirne il fascino irresistibile…

Have a Purple Day

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PILLOLE VIOLA CHE PARLANO DI LUI – DI SKIP – DEL SUO MONDO, DELLA SUA MUSICA

Alphabet St.

PILLOLE VIOLA

RANDOMLY GRABBED POSTS

NEAL + PRINCE:A TRIP IN&OUT A (BOY)MAN (IVparte)

Era una persona complessa. Sicuro. Sicurissimo.

Prince aveva una personalità difficile da comprendere, per chiunque, ad un primo sguardo. Ad uno sguardo superficiale. Specie per chi lo vedesse/incontrasse per la prima volta.

(i pochi autorizzati ad entrare all’interno della sua zona di rispetto e solo per il tempo strettamente necessario, ovviamente, e niente di più)

Come molti di noi – egli possedeva molti strati disposti sotto la sua superficie, ma non permetteva a nessuno di scavare là sotto.

Non lo ha mai permesso a nessuno.

Si celava a tutti, dunque.

Mostrava sempre e soltanto quello che ritenesse utile mostrare in quel momento. Niente di più. E mai troppo a lungo.

In questa intervista che concede nel 1985 – dopo anni di silenzio stampa – a Neal Karlen di Rolling Stone egli decide di sembrare abbordabile. Un ragazzo qualunque, arrivato al successo dopo una serie infinita di dolori e difficoltà.

(la pura verità, a dire il vero)

Uno che fa una vita regolare, fatta di lavoro e lavoro.

(il che è perfettamente vero)

Voleva allontanare ogni diceria sui suoi comportamenti bizzarri ed eccolo lì: il ragazzo della porta accanto, timido, ma accessibile.

(il che è anche – altrettanto e assolutamente – vero, sotto un certo punto di vista)

Questa intervista – come ho sottolineato più volte – è una sorta di unicum. Pochi sono riusciti ad avvicinarlo e ad affiancarlo nel modo in cui Neal Karlen ha potuto fare in quell’occasione. Passando così tante ore con lui. Guardandolo muoversi davanti a lui, senza la mediazione di staff e di assistenti personali.

Prince viveva di distanza.

(continua nella sezione articoli)

The Purple House

TALKING ABOUT SKIP

IL MIO ULTIMO LIBRO: "THE BEAUTIFUL PRINCE" (LUGLIO 2022)

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Have a Purple Day

A NEW NEW NEW STORY!

he's back!

PAGE ONE ONE

“Il tuo passato immaginato da me, il nostro supposto futuro” “C’è un tipo di rapporto, l’unico durevole, in cui è come se tra due esseri umani corresse un invisibile filo telegrafico. Dentro di me lo chiamo: ‘Il filo d’oro’ ” “Tutto ho raccolto di te briciole, frammenti, polvere, tracce, supposizioni, accenti restati in voci altrui, qualche grano di sabbia, una conchiglia, il tuo passato immaginato da me, il nostro supposto futuro, ciò che avrei voluto da te, ciò che mi avevi promesso, i miei sogni infantili, certe sciocche rime sulla giovinezza, un papavero sul ciglio di una strada polverosa” (coming soon)

PAGE TWO TWO

Gràphein, Oràn, Èchein “Cara signora Milena, la pioggia che durava da due giorni ed una notte è appena cessata, forse soltanto provvisoriamente, ma è certo un avvenimento degno di essere festeggiato ed io lo faccio, scrivendo a Lei” “Franz, sbagliato, F sbagliato, Tuo, sbagliato, non più, silenzio, bosco profondo” (coming soon)

SENDING/FINDING LOVE

To: Skip, somewhere-nowhere From: (It’s) me Object: need help&(possibly)love:right now! please-please-please, come here! Caro Skip-del-mio-cuor, here we are. Lo so. Sei lì da un po’, a prendere il sole, nel Giardino. Beatamente. Non vuoi seccature e - credimi - ti capisco benissimo. Le persone come me sono una bella rottura di maroni, come glisserebbe - e con ragione - mio figlio. Però. (coming soon)

IPSE DIXIT: CRUMBS FROM HIS INTERVIEWS

IPSE DIXIT

"Once I made it, got my first record contract, got my name on a piece of paper and a little money in my pocket, I was able to forgive. Once I was eating every day, I became a much nicer person" (1985)
MUSICIAN: And what’s your last name? Is it Nelson? PRINCE: I don’t know. (1983)
About Minnesota: “I was born here, unfortunately.” (1977)
"I believe in teachers, but not for me" (1979)
About concerts: “I really don’t have time to make the concerts" (1977)
“Do you get out much?” “No. Not really.” “What age range of young ladies do you like?” “It doesn’t matter.” (1979)
About studying music: "I’ve had about two lessons, but they didn’t help much" (1977)
"We won’t be able to use that. I hate wasting time. I want to hear that song on the radio" (1977)
About music:“I wanted to make a different-sounding record" (1977)
first time he saw his father performing on stage (Prince was a 5 years old boy): "He was up on stage and it was amazing. I remembered thinking, ’These people think my dad is great.’" (1982)
"I think society says if you’ve got a little black in you that’s what you are. I don’t" (Musician, 1983)
About being a performer: "I wanted to be part of that" (1977)
PRINCE: Probably take a long bath. I haven’t had one in a long time. I’m scared of hotel bathtubs. (‘quale sarà la prima cosa che farai, quando tornerai a Minneapolis?’) (‘con ogni probabilità, un lungo bagno, non ne ho fatto uno per parecchio tempo, mi spaventano le vasche da bagno degli hotel’) MUSICIAN: What do you fear? PRINCE: They just...a maid could walk in and see me.
About school: "To this day, I don’t use anything that they taught me. Get your jar, and dissect frogs and stuff like that" 1983

MY PODCASTS ABOUT HIM

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LAST STUFF

#13 Still Would Stand All Time

#13 Still Would Stand All Time

 

 

 

Nella vita di ognuno di noi (tutti noi, geni compresi, Prince compreso) capita di prendere cantonate. 

Più di una, sovente. A volte, addirittura in loop. 

Le cantonate sono gli schiaffi che la vita ci dà, per farci capire qual è la lezione che ne dobbiamo trarre.

A volte arriviamo a realizzare che buona parte della responsabilità di quell’errore è nostra, altre volte preferiamo (perché è più comodo) addossare al mondo esterno le colpe di quel nostro scivolone. 

Esistenziale. Professionale. Personale.

In quanto essere umano (umanissimo), Prince non poteva sfuggire a questa regola, che vale davvero per tutti. 

Graffiti Bridge”: un brutto scivolone della sua carriera, all’interno del periodo Warner. Forse quello più bruciante. Quello che lo ha toccato più nel profondo.

Quello che molto probabilmente ha fatto da catalizzatore di un  potente effetto domino, nella sua carriera e nella sua vita.

Dopo il parziale insuccesso di “Under Cherry Moon” lo aspettavano all’angolo. Tutti. Davvero tutti. Pronti a colpire. 

E lo hanno fatto (forse) con grande piacere e grande soddisfazione.

(i critici, musicali e cinematografici, i tanti nemici che egli era riuscito a crearsi negli anni)

Per quella débacle hanno gioito in tanti. Tantissimi. Hanno gioito, festeggiato. Lo hanno irriso e ridicolizzato.

Perché – in questo senso – lui era fatto così: era senza mezze misure e generava – in base al terzo principio fondamentale della dinamica emotiva – reazioni uguali e contrarie. 

Lo si amava (alla follia) o lo si odiava fino allo spasimo, spesso con il risentimento acido di chi sa bene che non potrà mai raggiungere  certi livelli. Che potrà guardarli sempre, solo e comunque dal basso.

Lui – va detto chiaramente e oggettivamente – non aveva preso bene quello scivolone. 

Non aveva fatto autocritica, per quell’evidentissimo passo falso.(autocritica: parola espunta da tempo dal suo vocabolario, perché priva di contenuto concettualmente accettabile, all’interno della sua metafisica e anche della sua logica)

Aveva fatto – certo – rari accenni alla questione in qualche intervista, aveva utilizzato larghe, larghissime, perifrasi per indicare il mancato successo, ma poi, alla fine, aveva relegato e collocato il tema “Graffiti Bridge” al passato. 

E lui – lo sapevano tutti – non rispondeva mai a domande sul passato.

Era passato e basta. Pensava solo futuro. Un progetto dopo l’altro.

E allora: mettiamo pure “Graffiti Bridge” in soffitta e non se ne parli più!

(leggi: rimozione)

Quelli del suo éntourage – se interrogati e incalzati sull’argomento da qualche incauto giornalista – si limitavano a rispondere (imbarazzati) che Prince non “era stato capito” da nessuno. Pubblico. Critici. Persino i fan.

«[…]il suo staff […] si sofferma sulle sue inclinazioni maggiormente spirituali, sul nucleo profondo della sua musica migliore e tratta il caotico, confuso “Graffiti Bridge” come uno sfortunato incidente che sarebbe meglio dimenticare. Non un fallimento – badate bene. Prince non genera fallimenti. […] Prince non ammetterebbe mai che “Graffiti Bridge” è stato un fallimento, incolperebbe semplicemente il mondo per non ‘averlo capito’» – scrive appunto Chris Heat nel novembre 1991.

(tempi davvero difficili per lui, quelli di quegli anni: era apparentemente in guerra contro tutto e tutti)

In quegli stessi mesi in cui aveva registrato questo brano, Prince aveva improvvisamente licenziato in blocco tutto lo staff di manager, che seguiva praticamente da sempre la sua carriera, ed aveva deciso di proseguire da solo.

È da questa sua furia demolitoria quasi improvvisa che – quasi a cascata – arriveranno le stringenti regole sulla riservatezza che da quel momento in poi avrebbe imposto a chiunque potesse entrare in contatto con lui.

Torniamo a questo brano, che – ovviamente – viene eseguito anche all’interno del film, in una lunga sequenza, ballata e cantata.

Still Would Stand All Time” è anche la traccia numero 15 dell’album. Mai eseguita stabilmente nel corso di un tour, occasionalmente in qualche esibizione e, comunque, mai più, dopo il 2001.

(il titolo, visto così, senza guardare ai testi, fa pensare ai ritmi circadiani di Prince, che – letteralmente – non dormiva mai: sarebbe restato davvero sempre in piedi: a fare musica)

Due osservazioni (notizie) tecniche su questo brano: è stato eseguito con una base ritmica gestita in prevalenza da una LinnDrum (un modello successivo alla storica Linn LM-1 che  aveva già fatto da ossatura a decine di sue canzoni.

All’interno della tessitura musicale, inoltre, troviamo quattro samples con un suono di flauto che arrivano dal “Prélude à l’Après-Midi d’un Faune” di Claude Debussy, nell’esecuzione curata da André Previn con la London Symphony Orchestra.

(quanto genio ci vuole per sapere che quei quattro passaggi consecutivi di flauto, messi lì apparentemente a caso, sono proprio la right thing, in quel punto della canzone?)

(eh, già, mai prendere sottogamba la musica di Prince: gli strati sono molteplici, ricchi e – soprattutto – capaci di sorprendere tutti: sempre)

“[…] le campionature di flauto di Debussy svolazzano dentro [il brano] ed il tuo cuore si gonfia di emozioni alle quali non sei in grado di dare un nome”- dice la pagina 500princesongs.com.

La registrazione è avvenuta – come accade quasi sempre con lui – a Paisley Park il 6 ottobre 1988. Nel corso di una pausa di due giorni del “Lovesexy Tour”.

(Susan Rogers ha ricordato più volte come Prince avesse l’abitudine di registrare anche quando era fuori in tour: affittava uno studio nella città in cui si esibivano, oppure si portava dietro un truck attrezzato, o, se la tappa del tour non avveniva lontano da Minneapolis, tornava a Paisley Park nei giorni di pausa per lavorare su qualche brano: “se era sveglio, voleva uno strumento in mano”- sottolinea Susan Rogers)

Prince ha suonato e cantato quasi tutto da solo qui, ad eccezione della parte corale.

In questi cori – sovraincisi alcuni mesi dopo – troviamo una ricca serie di nomi: Jevetta Steele, Fred Steele, JD Steele, Jearlyn Steele (gli “Steeles”, appunto), Jill Jones – sua storica collaboratrice e protegée degli anni Ottanta – Jellybean Johnson, Jesse Johnson, Jimmy Jam  (il famoso Jimmy Jam, successivamente grande produttore di Minneapolis e grande nemico di Prince, perché da lui fatto licenziare dai  The Time” per una grave forma di “insubordinazione” rispetto agli impegni presi per una tournée) Monte Moir, Terry Lewis, Jerome Benton, tutti a supporto della voce di un uomo che normalmente era in grado di elaborare da solo, nelle sue canzoni, tessuti corali anche molto complessi, direttamente dal suo board di Paisley Park. 

Sovraincidendo ed incollando in mille intricati modi la sua stessa voce.

Questo brano sarebbe dovuto entrare a far parte del primo progetto intitolato Rave Unto The Joy Fantastic, era stato poi tenuto in considerazione per Batman, ma era stato poi rimpiazzato da “Scandalous”.

Prima di portarlo in sala di incisione, Prince lo aveva fatto eseguire – il 19 agosto 1988 – durante una One-Off Performance in Olanda.

(per la cronaca: molti sanno che, frugando in Rete, è possibile avere tutti gli outfit di ogni suo singolo concerto di Prince e quella sera del 19 agosto egli ha alternato un set di abiti già utilizzati per la registrazione del video di “Alphabet St.”, mentre suonava la chitarra Blue Angel, insieme ad un tre pezzi color lillà)

L’autore della pagina 500songs.com racconta di come, negli anni della sua giovinezza, questo brano di Prince dalle radici evidentemente gospel non incontrasse in nessun modo il suo favore. Troppo sdolcinato. Troppo gospel.

È stato l’ascolto prolungato e attento – oltre allo scorrere degli anni –  che gli ha permesso di entrare nel suo spirito. Di entrare in profondità.

E di arrivare ad apprezzare perfino quel gospel che – ad un primo ascolto superficiale – gli era sembrato quasi indigesto.

“I tocchi gospel (per gentile concessione degli Steeles) sono di natura divina, ma il vero potere sta tutto nell’atmosfera. Ha l’aspetto di un momento congelato: una campana a morto che risuona. O forse si tratta dell’imitazione della percezione rallentata del tempo e del battito cardiaco acuto dato da una scarica di adrenalina. […] la lunga pausa prima dell’annuncio del vincitore, una proposta di matrimonio che sta lì lì per arrivare” – arriva a scrivere alla fine.

Esiste un bootleg (Trojan Horse) in cui si sente la voce di Prince che rimprovera qualcuno che, nel cantare questa canzone ha sbagliato una parola importante del testo:

« “Chi è lo sciocco che sta cantando ‘will’? La parola giusta è ‘would’ !” » – dice.

(questo, per rimarcare – ancora una volta, se ce ne fosse bisogno – l’attenzione che, in particolare dal vivo, Prince metteva e chiedeva nella cura dei dettagli)

Entriamo nel testo.

Siamo negli anni immediatamente a ridosso del ripensamento. Quel ripensamento interiore che lo aveva portato a buttare al macero tutte le copie del Black Album e di incidere Lovesexy, un disco che si situava esattamente agli antipodi, rispetto al precedente. 

Atmosfere luminose, temi e richiami all’amore, alla pace. Fine anni Ottanta-inizio Novanta: la conversione ad U della sua vita.

In questa canzone si parla di questo: si osserva la violenza, l’aggressività che caratterizzano spesso le nostre vite, per rifiutarle. Per indicare una strada diversa.

C’è – ma non potrebbe essere diverso, trattandosi di lui – una intensa atmosfera spirituale, concentrata. 

Lo si nota anche se si osservano le scene del film in cui essa viene cantata. Se si ascolta la sottotraccia gospel in cui – in particolare – gli Steeles ci riportano ad una dimensione religiosa. 

Sembra una preghiera. Sembra che il pastore debba entrare da un momento all’altro per recitare il suo sermone.

Circola un forte messaggio di speranza.

È proprio dietro l’angolo, dietro l’isolato, questo amore che stavo aspettando, un amore solido [come] roccia” – esordisce.

Un amore che vuole riaffermare che non siamo soli al mondo, un amore così luminoso che risplende dentro di te […]

La speranza che le cose vadano meglio, la speranza che gli uomini capiscano che la persona che hanno accanto non è nemica. Che conviene allearsi, piuttosto che combattersi.

Non è lontano mille anni, non è così lontano, fratello, il momento in cui gli uomini combatteranno l’ingiustizia, invece che combattere l’uno contro l’altro”.

E, poco più oltre:

La disonestà, la paura, la gelosia e l’avidità cadranno tutte quante assieme. L’amore può salvarci tutti”.

L’apertura alla speranza, all’amore, dominano la parte conclusiva:

Non siamo soli, gente. Ditemi: siete in grado di vedere la luce? Se solo voi apriste gli occhi”.

E, ancora:

Meglio, se ti lasci alle spalle il passato: tutto andrà bene”.

E questo è un riferimento con un carattere marcatamente autobiografico, in un brano in cui la sua storia personale è già contenuta in filigrana.

 

 

 

 

Fonti:

– princevault.com

  • Neal Karlen, “Prince Talks”, «Rolling Stone», 18 ottobre1990
  • 500princesongs.com
  • Intervista a Susan Rogers pubblicata su «tapeop.com»
  • Chris Heat, «Details», novembre 1991

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marialetiziacerica

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Lillian Morgan

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