YOU ARE THE ARTIST

 

“THIS TOWN IS MY FREEDOM”

PRINCE: A WONDERFUL TRIP

 “Cosa sei andata a fare fino a Minneapolis?”

“Sono andata a cercare l’uomo, certo non la star!”

COMING SOON ⬇️

PRINCE: HE’S BACK!

Blue Darkness

 

“Mettiti qui, vicino a me!” – mi dici, battendo il palmo della mano sul prato, dopo esserti seduto. 

“Eccomi, arrivo subito” – dico, mentre mi avvicino.

Poggio in terra la borsa. Mi siedo a gambe incrociate. L’erba è morbida. Profumata. Piccoli fiori gialli, ovunque. Un minuscolo ragno si sta arrampicando su uno stelo, che si piega, leggermente, sotto il suo peso.

Mi guardo intorno.

Guardo il grande prato verde che mi circonda. Il ciuffo di alberi in cima alla collinetta che ci sovrasta. Il lago Riley, più in basso. L’acqua di un blu profondo, quasi nero.

 

(il capitolo continua, all’interno del libro in preparazione)

CHI SIAMO

 SKIP, aka ALEXANDER NEVERMIND, aka JAMIE STARR, aka PETER BRAVESTRONG, aka Love Symbol, aka The Artist, aka…

(È sempre lui):

Prince Rogers Nelson

 Maria Letizia Cerica: prinsologa dilettante e semplice voce narrante,  in queste pagine

MLC

l'ideatrice di questo blog

 Sempre lui : Prince Rogers Nelson

PRN

Impossibile farne una descrizione in breve: per saperne di più, scendete nella pagina ⬇️

PURPLE PILLS

STORIE, FRAMMENTI,RECENSIONI, IMMAGINI, VIDEO: TUTTI SU DI LUI, PRINCE ROGERS NELSON, IL NOSTRO SKIP, RACCONTATO NELLA SUA DIMENSIONE UMANA E TERRESTRE

Across the street from McDonald’s, Prince spies a smaller landmark. He points to a vacant corner phone booth and remembers a teenage fight with a strict and unforgiving father. ‘That’s where I called my dad and begged him to take me back after he kicked me out’- he begins softly – ‘He said no, so I called my sister and asked her to ask him. So she did, and afterward told me that all I had to do was call him back, tell him I was sorry, and he’s take me back. So I did, and he still said no. I sat crying at that phone booth for two hours. That’s the last time I cried’

(Neil Karlen, “Prince Talks”, Rolling Stone, 1985)

PERCHÉ QUESTO BLOG?

 Proviamo a raccontare un uomo straordinario, un artista visionario, un essere enigmatico: quello che è stato per tutta la sua vita Prince Rogers Nelson. Irrealistico anche solo pensare di riuscire a dire tutto di lui, a raccontarlo, a circoscriverlo in qualche modo, a definirlo in ogni sua parte. Qui dunque spargeremo solo frammenti, curiosità, gusci d’uovo, che cercheranno di dare un’idea di quello che è stato, di quello che ha rappresentato. Per tutti noi. Per quasi 40 anni. E oltre.

...have a purple day...

PURPLE PILLS

(ideato e realizzato da Maria Letizia Cerica) (con abbondanti e generosi interventi dall'alto) ⬆️

PURPLE PILLS: interviste/articoli

Eye-liner

“C’est ce qu’ont bien compris ces animaux artistes qui se maquillent, les humains. Certains motifs du maquillage ne sont pas de pures inventions de l’imagination humaine, des créations arbitraires: ils sont bio-inspirés. Ils accentuent les pouvoirs éthologiques du survisage humain, ils stylisent encore nostre masque animal.

Les deux cas le plus nets sont justement deux amplifications de contraste pour accentuer l’intensité du regard.

La première technique est l’eye-liner. En accentuant le contraste entre pupille et fond de l’œil par l’ajout d’une enceinte féline sombre, il mime la profondeur du regard de la panthère (elle dispose de naissance de cette ligne noire autour de l’œil).

C’est exactement la même structure sombre/clair/sombre qu’utilise le masque naturel du loup.

Hommes et femmes de théâtre fardent de nuit le tour de l’œil avant de monter sur scène: ils savent depuis toujours que cela en accentue l’expressivité.

Mais cette technique a été inventée par l’evolution des millions d’années avant les acteurs, par la lignée des grands félins, comme par d’autres.

L’eye-liner trouve son origine historique dans la poudre de khôl qui fardait les yeux des Égyptiens des deux sexes. Cette filiation est un indice, un détail révélateur d’une filiation plus profonde, qu’on peut pister jusque dans nos salles de bains.

L’Égipte antique était familière des métis d’animaux et d’humains (avec ses dieux thériantropes, à têtes de fauves, d’oiseaux, de serpents…)

Cette culture antique était aussi familière des survisages de la panthère et de l’antilope: c’était leur faune quotidienne.

Et c’est de l’Égypte antique qui provient une part de notre tradition du maquillage des yeux: dessiner le tour de l’œil, comme on le voit sur les fresques, et probablement aussi assombrir les cils.

Il n’est pas imprudent de conjecturer que le trait de khôl égyptien, donc l’eye-liner, est une technique bio-inspirée qui confère volontairement à l’œil humain l’intensité du regard de la panthère. Une technique qui capture le même amplificateur de contraste que l’évolution a peint sur le survisage de grands félins.

Dans une culture où votre déesse a une tête de lionne, où les animaux ne sont pas des bestioles mais des divinités, prendre leur survisage pour modèle dans l’apprentissage d’une expressivité intensifiée fait parfaitement sens.

Jusqu’à aujourd’hui, même les plus obtus ressentent douloureusement la puissance esthétique d’un survisage de panthère.

La tradition antique y a puisé des leçons de beauté, au sens vivant: la beauté comme manière d’habiter une forme.”

Fonte: Baptiste Morizot, “Manières d’être vivant”, Actes Sud, 2020

LA VITA È FATTA DI FRAMMENTI

Frammenti, validi come premessa

Ho sempre ammirato quelli capaci di creare/vedere grandi sistemi, rispetto al mondo circostante. Quelli che riescono a far coincidere tutti i pezzi della loro cosmologia e tutto il loro universo, una volta completato il lavoro, arriva ad assumere connotati netti e precisi. Ascissa, ordinata. Tutto in ordine.

Non sono mai riuscita ad essere così.

Riesco a fissarmi solo sui particolari. L’universale da sempre mi sfugge.

Spesso anche i particolari – nel particolare – mi sfuggono: nel senso che riesco a focalizzarmi sui frammenti, sulle briciole. Passo ore ed ore a guardare le briciole di realtà, analizzandole a volte in modo ossessivo.

Se mi innamoro di un libro, di un film o di una serie, sono capace di guardare e riguardare decine, centinaia di volte una pagina, una scena, l’inclinazione di un viso, una risata, l’intonazione di una voce, come se tutte queste cose – assolutamente slegate dalla visione d’insieme di quell’opera – potessero improvvisamente spiegarmi il senso della vita.

Da quella briciola pretendo di arrivare alla visione d’insieme.

Penso che sia la strada più sbagliata per arrivare al panorama finale. Scendo verso il basso del mio personalissimo Mont Ventoux, sperando di arrivare a vedere un panorama elevato che avrebbe richiesto ben altra strada, ben altro coraggio visivo.

Metto insieme questi pezzi slegati tra loro, nell’assurda speranza che essi possano indicarmi la giusta via.

Sto lì ad accantonarli, li allineo – uno vicino all’altro – sperando che una bella mattina, dopo essermi alzata da un sonno ristoratore, l’illuminazione arriverà, subito dopo essermi stropicciata gli occhi.

Ecco perché non mi riesce di costruire vere storie. Non riesco ad inventare personaggi: riesco a parlare solo di quelli che esistono già e che – a mio parere – costituiscono un campionario sufficiente per uno scrittore.

È già tutto lì: basta armarsi di pazienza ed osservare, ascoltare, trascrivere. La realtà parla da sola.

Lo so, l’eterno dilemma: se l’artista sia specchio o lampada.

Sono specchio o lampada? Un fiammifero, forse.

Ho quaderni pieni di osservazioni sparse, scritte a mano su quaderni bellissimi (quelli sì).

Osservazioni che dovrebbero essere trascritte, riordinate, cercando di dare loro un verso.

E mentre so che questo sarebbe il lavoro a cui dare priorità, mi metto a scrivere una premessa come questa, all’interno della quale prometto di fare ciò che continuo a rimandare.

(e sempre a Petrarca torniamo: ai suoi buoni propositi irrealizzati)

Ma le premesse – si sa – sono bussole indispensabili. Per capire. Per orizzontarsi. Per procedere.

 

PICS FROM MPLS

Stanze del Midwest
...nove ore di viaggio, una notte che nella tua testa non lo è affatto e ti ritrovi a guardare fuori dalla finestra: ti ricordi all'improvviso che sei su un'isola, che quell'isola è in mezzo al Mississippi e che sei nella città di Skip...
Stanze del Midwest
Ed è guardando da quelle persiane che scopri per la prima volta il Mississippi, nella sua grandezza
Il Ponte 1
L'isola in mezzo al Mississippi è collegata alla terraferma da un antico ponte in ferro e legno. Da lì si vede scorrere l'acqua, destinata a percorrere migliaia di chilometri
Il ponte 2
Tra l'isola e la terraferma c'è questo ponte in ferro e legno. Sotto, scorre il Mississippi, placido, limaccioso. Lo osservi, mentre passa sotto i tuoi piedi, trascinandosi dietro qualche tronco raccolto durante il cammino.
Hennepin Bridge
Hennepin Bridge ha un carattere quasi metafisico: fa un salto acrobatico sul Mississippi e ti permette di guardarlo dall'alto, da spettatore minuscolo che immagina contemporaneamente anche altre presenze, oltre alla sua, in altri momenti, in altri tempi
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A LETTER

Dearest Tracy,

thank U 4 your letter. It’s a good feeling 2  know that one’s work is appreciated by others. It’s the main thing that keeps me working. And if I ever make a video with 10-year olds in ’em, you’re invited. (smile)

I would love a picture of you. Don’t worry about what they look like. I take bad pictures all time. I hope U like Purple Rain, it’s a good movie. But, don’t listen 2 the swear words.

Happy birthday, and don’t forget 2 say your prayers. God loves you.

Your Purple friend,

Prince”

...searchin' & findin' Skip in MPLS... (part I)

…sentire scorrere l’acqua, il potere calmante dell’acqua, avere a così breve distanza, praticamente a portata immediata di sguardo, una massa tanto imponente di acqua in continuo movimento, ha avuto su di me un forte potere ipnotico: sono andata di continuo a vederla. Solo chi è cresciuto accanto all’acqua può capirne il fascino irresistibile…

Have a Purple Day

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PILLOLE VIOLA CHE PARLANO DI LUI – DI SKIP – DEL SUO MONDO, DELLA SUA MUSICA

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PILLOLE VIOLA

RANDOMLY GRABBED POSTS

NEAL + PRINCE:A TRIP IN&OUT A (BOY)MAN (IVparte)

Era una persona complessa. Sicuro. Sicurissimo.

Prince aveva una personalità difficile da comprendere, per chiunque, ad un primo sguardo. Ad uno sguardo superficiale. Specie per chi lo vedesse/incontrasse per la prima volta.

(i pochi autorizzati ad entrare all’interno della sua zona di rispetto e solo per il tempo strettamente necessario, ovviamente, e niente di più)

Come molti di noi – egli possedeva molti strati disposti sotto la sua superficie, ma non permetteva a nessuno di scavare là sotto.

Non lo ha mai permesso a nessuno.

Si celava a tutti, dunque.

Mostrava sempre e soltanto quello che ritenesse utile mostrare in quel momento. Niente di più. E mai troppo a lungo.

In questa intervista che concede nel 1985 – dopo anni di silenzio stampa – a Neal Karlen di Rolling Stone egli decide di sembrare abbordabile. Un ragazzo qualunque, arrivato al successo dopo una serie infinita di dolori e difficoltà.

(la pura verità, a dire il vero)

Uno che fa una vita regolare, fatta di lavoro e lavoro.

(il che è perfettamente vero)

Voleva allontanare ogni diceria sui suoi comportamenti bizzarri ed eccolo lì: il ragazzo della porta accanto, timido, ma accessibile.

(il che è anche – altrettanto e assolutamente – vero, sotto un certo punto di vista)

Questa intervista – come ho sottolineato più volte – è una sorta di unicum. Pochi sono riusciti ad avvicinarlo e ad affiancarlo nel modo in cui Neal Karlen ha potuto fare in quell’occasione. Passando così tante ore con lui. Guardandolo muoversi davanti a lui, senza la mediazione di staff e di assistenti personali.

Prince viveva di distanza.

(continua nella sezione articoli)

The Purple House

TALKING ABOUT SKIP

IL MIO ULTIMO LIBRO: "THE BEAUTIFUL PRINCE" (LUGLIO 2022)

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Have a Purple Day

A NEW NEW NEW STORY!

he's back!

PAGE ONE ONE

“Il tuo passato immaginato da me, il nostro supposto futuro” “C’è un tipo di rapporto, l’unico durevole, in cui è come se tra due esseri umani corresse un invisibile filo telegrafico. Dentro di me lo chiamo: ‘Il filo d’oro’ ” “Tutto ho raccolto di te briciole, frammenti, polvere, tracce, supposizioni, accenti restati in voci altrui, qualche grano di sabbia, una conchiglia, il tuo passato immaginato da me, il nostro supposto futuro, ciò che avrei voluto da te, ciò che mi avevi promesso, i miei sogni infantili, certe sciocche rime sulla giovinezza, un papavero sul ciglio di una strada polverosa” (coming soon)

PAGE TWO TWO

Gràphein, Oràn, Èchein “Cara signora Milena, la pioggia che durava da due giorni ed una notte è appena cessata, forse soltanto provvisoriamente, ma è certo un avvenimento degno di essere festeggiato ed io lo faccio, scrivendo a Lei” “Franz, sbagliato, F sbagliato, Tuo, sbagliato, non più, silenzio, bosco profondo” (coming soon)

SENDING/FINDING LOVE

To: Skip, somewhere-nowhere From: (It’s) me Object: need help&(possibly)love:right now! please-please-please, come here! Caro Skip-del-mio-cuor, here we are. Lo so. Sei lì da un po’, a prendere il sole, nel Giardino. Beatamente. Non vuoi seccature e - credimi - ti capisco benissimo. Le persone come me sono una bella rottura di maroni, come glisserebbe - e con ragione - mio figlio. Però. (coming soon)

IPSE DIXIT: CRUMBS FROM HIS INTERVIEWS

IPSE DIXIT

"Once I made it, got my first record contract, got my name on a piece of paper and a little money in my pocket, I was able to forgive. Once I was eating every day, I became a much nicer person" (1985)
MUSICIAN: And what’s your last name? Is it Nelson? PRINCE: I don’t know. (1983)
About Minnesota: “I was born here, unfortunately.” (1977)
"I believe in teachers, but not for me" (1979)
About concerts: “I really don’t have time to make the concerts" (1977)
“Do you get out much?” “No. Not really.” “What age range of young ladies do you like?” “It doesn’t matter.” (1979)
About studying music: "I’ve had about two lessons, but they didn’t help much" (1977)
"We won’t be able to use that. I hate wasting time. I want to hear that song on the radio" (1977)
About music:“I wanted to make a different-sounding record" (1977)
first time he saw his father performing on stage (Prince was a 5 years old boy): "He was up on stage and it was amazing. I remembered thinking, ’These people think my dad is great.’" (1982)
"I think society says if you’ve got a little black in you that’s what you are. I don’t" (Musician, 1983)
About being a performer: "I wanted to be part of that" (1977)
PRINCE: Probably take a long bath. I haven’t had one in a long time. I’m scared of hotel bathtubs. (‘quale sarà la prima cosa che farai, quando tornerai a Minneapolis?’) (‘con ogni probabilità, un lungo bagno, non ne ho fatto uno per parecchio tempo, mi spaventano le vasche da bagno degli hotel’) MUSICIAN: What do you fear? PRINCE: They just...a maid could walk in and see me.
About school: "To this day, I don’t use anything that they taught me. Get your jar, and dissect frogs and stuff like that" 1983

MY PODCASTS ABOUT HIM

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LAST STUFF

Neal + Prince: a trip in&out a (boy) man (II parte)

 

Siamo sempre a Minneapolis.

In giro per la città insieme a loro, Prince e Neal.

Estate del 1985.

La prima intervista concessa da Prince dopo anni di silenzio. Ad uno della sua città. Ad uno della sua stessa età. Ad uno che ha sogni sul futuro molto simili ai suoi.

Uno che ti capisce, perché conosce le sottili sfumature del linguaggio e della stratigrafia della città in cui sei nato e cresciuto.

Uno di cui (forse) ci si può fidare.

(raro che Prince lo faccia con qualcuno)

Si fida. Avrebbe continuato a fidarsi di lui nel tempo, nei decenni. Uno dei pochi.

Nel corso di quel loro lungo giro per la città, sarebbe arrivata quasi improvvisa da Prince una delle confessioni più drammatiche che abbia mai fatto a qualcuno.

(e non ne avrebbe più fatte di simili a qualcun altro, negli anni successivi, fatta eccezione per qualche passaggio di una lunga chiacchierata con Spike Lee negli anni Novanta)

Una storia uscita fuori quasi all’improvviso, ma così drammatica che la prima volta in cui ho letto quelle sua parole, così scarne, così attentamente soppesate, così cariche di dolore represso, non ho dormito, poi, per l’inquietudine che esse avevano generato in me.

Mi sembrava impossibile che un padre potesse arrivare a tanto con suo figlio.

Poi – solo poi – ho capito che non era una cosa così rara negli States di quegli anni. Specie nei quartieri di periferia, dove spesso le madri si ritrovavano a crescere da sole i loro figli ed i padri dimenticavano di essere tali senza farsi tanti problemi.

Andiamo alla chiacchierata del 1985.

Ci renderemo conto che Prince si fida del suo interlocutore, ma, dopo essere uscito allo scoperto, sente subito il bisogno di smorzare i toni.

Dopo aver ammesso e narrato la violenza subìta a quindici anni, sente anche l’impulso di ammorbidirla, la smussa, arriva anche a giustificare i soprusi di suo padre. A dare loro una spiegazione razionale. 

(come capita a tutte le vittime di abusi, quelle che hanno dovuto metabolizzare traumi profondi: si sentono colpevoli per quello che hanno subìto, prendono su di sé il peso degli eventi, perché scusare un genitore peserebbe molto di più, percepire se stessi come colpevoli dà più sollievo)

(per poter sopravvivere, hanno bisogno di dare un senso a ciò che è capitato loro e nell’economia interna trovano più facile individuare una colpa in se stessi: più semplice da gestire, almeno nell’immediato)

Senza che entri troppo nei dettagli, lavorando soprattutto per ellissi, Prince fa uscire con un soffio parole che ci lasciano capire dove si sia spinto l’abisso per un ragazzino di appena quindici anni.

Riprendiamo dal racconto di Neal Karlen, ripartiamo dalle sue parole:

“He turns onto Plymouth, the North Side’s main strip. When Martin Luther King got shot, it was Plymouth Avenue that burned”

(Plymout Avenue, era allora una delle arterie più importanti di Minneapolis, quella in cui era già esplosa la rabbia della gente di colore, nel 1967 e subito dopo l’uccisione di Martin Luther King: Prince sta guidando tranquillo la sua macchina verso il suo vecchio quartiere)

Arrivano nelle vicinanze di un McDonald’s.

Comincia il racconto.

Parte dalla narrazione di una condizione di povertà dolorosa, molto sofferta, per quel giovane ragazzo.

We used to go to that McDonald’s there” – he says – “I didn’t have any money, so I’d just stand outside there and smell stuff. Poverty makes people angry, brings out their worst side. I was very bitter when I was young. I was insecure and I’d attack anybody. I couldn’t keep a girlfriend for two weeks. We’d argue about anything”

(sei un ragazzino senza soldi per mangiare, che può permettersi di annusare soltanto l’odore di un panino, fuori dal Mac, non potendone acquistare uno: ‘la povertà rende le persone arrabbiate, tira fuori il loro lato peggiore. Ero davvero amareggiato quando ero giovane, ero insicuro ed avrei aggredito chiunque, non riuscivo a tenermi una ragazza per due settimane, litigavamo su tutto’)

Inizia poi la parte più dura del racconto:

(una parte che contrasta con la scena apparentemente serena dei festeggiamenti del sessantanovesimo compleanno del vecchio John, raccontata più sotto, i due piani temporali ed esistenziali stridono pesantemente, intersecandosi tra loro)

“Across the street from McDonald’s, Prince spies a smaller landmark. He points to a vacant corner phone booth and remembers a teenage fight with a strict and unforgiving father”

(dall’altra parte della strada, rispetto al McDonald’s, Prince osserva un punto preciso, indica una cabina telefonica e ricorda una lite adolescenziale con un padre severo e spietato)

That’s where I called my dad and begged him to take me back after he kicked me out” – he begins softly – “He said no, so I called my sister and asked her to ask him. So she did, and afterward told me that all I had to do was call him back, tell him I was sorry, and he’s take me back. So I did, and he still said no. I sat crying at that phone booth for two hours. That’s the last time I cried

(traduzione letterale: [Prince indica la cabina telefonica e dice:] “Lì è dove ho chiamato mio padre e l’ho implorato di riprendermi dopo che mi aveva cacciato” – [Prince] inizia [a raccontare] con un soffio di voce – “Lui mi ha risposto di no, così ho chiamato mia sorella e le ho chiesto di chiedergli [di riprendermi]. Così lei l’ha fatto e dopo mi ha detto che tutto quello che dovevo fare era di richiamarlo, di dirgli che ero dispiaciuto e lui mi avrebbe ripreso con sé. Così l’ho fatto e lui ha detto di no un’altra volta. Mi sono seduto a piangere in quella cabina telefonica per due ore. È stata l’ultima volta che ho pianto”

Nulla da aggiungere a queste parole. Dicono tutto da sole.

“In the years between that phone-booth breakdown and today’s pool game came forgiveness”

(negli anni compresi tra ciò che è accaduto nella cabina telefonica e la partita di biliardo di oggi [giorno del compleanno del vecchio John] è arrivato il perdono)

(pensiero mio – del tutto personale e non oggettivo: non è affatto vero)

“Says Prince”:

Once I made it, got my first record contract, got my name on a piece of paper and a little money in my pocket, I was able to forgive. Once I was eating every day, I became a much nicer person

(‘una volta che sono riuscito ad arrivare, ad avere il mio primo contratto, ad avere il mio nome su un pezzo di carta ed un po’ di soldi in tasca, sono stato in grado di perdonare, non appena sono stato in grado di mangiare tutti i giorni, sono diventato una persona molto più gentile’)

(ecco: ci stiamo avvicinando alla verità, forse)

(ma è ancora edulcorata, molto edulcorata)

“But it took many more years for the son to understand what a jazzman father needed to survive. Prince figured it out when he moved into his purple house”

(razionalizzare le cose ci serve a sopravvivere = mia considerazione)

(“ci sono voluti molti altri anni perché il figlio capisse quello di cui aveva bisogno un padre jazzista per sopravvivere”)

(secondo Karlen, che prende per buona la successiva ed inevitabile precisazione di Prince, è stata tutta colpa degli spazi di cui il vecchio John aveva bisogno a quei tempi per comporre e suonare in santa pace, senza essere disturbato, e non perché fosse una persona arida, incapace di prendersi cura di suo figlio)

I can be upstairs at the piano, and Rande [his cook] can come in” – he says – “Her footsteps will be in a different time, and it’s real weird when you hear something that’s a totally different rhythm than what you’re playing. A lot of times that’s mistaken for conceit or not having a heart. But it’s not. And my dad’s the same way, and that’s why it was hard for him to live with anybody. I didn’t realize that until recently. When he was working or thinking, he had a private pulse going constantly inside him. I don’t know, your bloodstream beats differently

(attenzione alle parole che Prince usa per normalizzare la sua sofferenza di adolescente, per darle quel senso che le era mancato fino a quel punto, per giustificare il comportamento di suo padre nei suoi confronti:)

(parte da se stesso, dalle sue manie, per arrivare a comprendere le follie di suo padre e – come capiterà spesso quando parlerà di lui – i piani si confondono: in seguito qualche volta Prince avrebbe utilizzato espressioni come ‘siamo la stessa persona’, riferendosi al vecchio John, per creare paralleli irreali, ma importanti per lui)

“Mi capita di trovarmi al piano di sopra al pianoforte e Rande [il suo cuoco] entra, i suoi passi avranno un tempo differente ed è davvero strano sentire qualcosa che risulti totalmente diverso da quello che stai suonando in quel momento. Molte volte tutto questo viene scambiato per presunzione o per mancanza di cuore. Ma non è così. E per mio padre è la stessa cosa e questo perché era difficile per lui vivere con qualcuno. Non me ne ero reso conto fino a poco tempo fa. Quando stava componendo o pensando, aveva un battito tutto suo che gli pulsava dentro in continuazione. Non so, il tuo flusso sanguigno pompa in modo diverso”

(compensazione, questa sconosciuta)

“Prince pulls the T-Bird into an alley behind a street of neat frame houses, stops behind a wooden one-car garage and rolls down the window”

(Prince entra con la Thunder Bird in un vicolo che si trova immediatamente dietro ad una schiera di case di legno dall’aspetto ordinato, si ferma accanto ad un garage di legno e tira giù il finestrino)

(siamo appena arrivati a casa del vecchio John)

“Relaxing against a tree is a man who looks like Cab Calloway”

([seduto] a rilassarsi accanto ad un albero c’è un uomo che somiglia a Cab Calloway)

(fan de I Blues Brothers, astenersi dai commenti, please!)

“Dressed in a crisp white suit, collar and tie, a trim and smiling John Nelson adjusts his best cuff links and waves”

(abito bianco, cravatta, curato e sorridente, John Nelson si aggiusta i gemelli)

(tutte cose che sono arrivate da lui grazie al successo di suo figlio, che gli permette di avere in quel momento una vita rilassata, mai conosciuta prima)

Happy birthday” – says the son.

Thanks” – says the father, laughing.

“Nelson says he’s not even allowing himself a piece of cake on his birthday”

(è il suo compleanno, ma non si concederà il lusso di mangiare un pezzo di torta)

No, not this year” – he says with a shake of the head.

(non quest’anno, dice, scuotendo la testa)

“Pointing at his son, Nelson continues”

(indicando suo figlio dice:)

I’m trying to take off ten pounds I put on while visiting him in Los Angeles. He eats like I want to eat, but exercises, which I certainly don’t

(“sto tentando di buttare via i quattro chili che ho messo su durante la visita che gli ho fatto a LA: lui mangia quanto vuole, perché fa esercizio, cosa che di sicuro io non faccio”)

“Father then asks son if maybe he should drive himself to the pool game so he won’t have to be hauled all the way back afterward”

(il vecchio John poi chiede a suo figlio che ognuno vada con la sua macchina, in modo tale che possa tornare a casa quando vuole)

Prince says okay, and Nelson, chuckling, says to the stranger

(Prince si dice d’accordo e quindi il vecchio John si rivolge all’ospite appena arrivato con suo figlio)

Hey, let me show you what I got for my birthday two years ago

(hey, voglio farti vedere quello che ho ricevuto per il mio compleanno un paio di anni fa)

“He goes over to the garage and gives a tug on the door handle. Squeezed inside is a customized deep-purple BMW”

(va verso il garage, tocca la maniglia: infilata lì dentro c’è una BMW personalizzata di colore viola scuro)

“On the rear seat is a copy of Prince’s latest LP,  Around the World in a Day. While the old man gingerly back the car out, Prince smiles”

(sul sedile posteriore c’è una copia dell’ultimo album di Prince, Around The World in a Day. Mentre il vecchio fa retromarcia con molta cautela, Prince sorride)

He never drives that thing. He’s afraid it’s going to get dented

(“Non guida mai quella cosa. Ha paura di ammaccarla”)

“Looking at his own white T-Bird, Prince goes on:”

(Prince dà un’occhiata alla sua T-Bird, quella che apparteneva proprio a suo padre, quella che lui continua ad usare per andarsene in giro per la città)

He’s always been that way. My father gave me this a few years ago. He bought it new in 1966. There were only 22,000 miles on it when I got it

(“è sempre stato così: mio padre me l’ha data qualche anno fa, l’aveva comprata nuova nel 1966 e quando l’ho presa aveva percorso solo 36000 chilometri”)

An ignition turns.

(il motore parte)

Wait!” – calls Prince, remembering something.

(“Aspetta!” – gli dice Prince, ricordandosi di qualcosa)

“He grabs a tape off the T-Bird seat and yells to his father”

(afferra una cassetta dal sedile della T-Bird e grida a suo padre:)

I got something for you to listen to. Lisa [Coleman] and Wendy [Melvoin] have been working on these in LA

(“ho qualcosa da farti ascoltare: Lisa e Wendy hanno lavorato su queste cose a LA”)

“Prince throws the tape, which the two female members of his band have mixed, and his father catches it with one hand. Nelson nods okay and pulls his car behind his son’s in the alley”

(Prince lancia la cassetta a suo padre, che la afferra con una mano. Il vecchio John fa cenno di sì con la testa e mette la sua macchina nel vicolo dietro quella di suo figlio)

“Closely tailing Prince through North Minneapolis, he waves and smiles whenever we look back. It’s impossible to believe that the gun-toting geezer in Purple Rain was modeled after John Nelson”

(mentre segue da vicino Prince attraverso North Minneapolis, saluta e sorride ogni volta che guardiamo indietro: sembra impossibile da credere che il vecchio armato di pistola in Purple Rain sia stato modellato sul vecchio John)

That stuff about my dad was part of [director-cowriter] Al Magnoli’s story” – Prince explains

(probabile bugia di Prince: la roba che nel film parla del padre del protagonista faceva parte della storia di Al Magnoli, secondo lui)

(in realtà – pistola a parte – il vecchio John era stato violento con suo figlio)

We used parts of my past and present to make the story pop more, but it was a story. My dad wouldn’t have nothing to do with guns. He never swore, still doesn’t and never drinks” – Prince looks in his rearview mirror at the car tailing him.

(“abbiamo utilizzato parti del mio passato e del mio presente per far risaltare di più la storia, ma era una storia: mio padre non avrebbe mai avuto a che fare con le armi, non ha mai detto parolacce in vita sua e non beve mai” – dice Prince mentre guarda lo specchietto retrovisore  e la macchina dietro di lui)

He don’t look sixty-nine, do he? He’s so cool. He’s got girlfriends, lots of ’em

(qui quasi si confondono i piani tra i due: “non sembra uno di sessantanove anni, non è così? è così cool, ha delle ragazze, in quantità!”)

“Prince drives alongside two black kids walking their bikes”

(Prince guida accanto a due ragazzini che stanno andando in bici)

Hey, Prince” – says one casually.

Hey” – says the driver with a nod – “how you doing?

(“Hey Prince” – dice uno con disinvoltura, “Hey, come va?” – risponde il guidatore, con un cenno del capo)

“Passing by old neighbors watering their lawns and shooting hoops, the North Side’s favorite son talks about his hometown”

(passando accanto ai vecchi vicini che innaffiano i loro prati e fanno tiri a canestro, il figlio prediletto di North Minneapolis parla della sua città natale:”)

I wouldn’t move, just cuz I like it here so much. I can go out and not get jumped on. It feels good not to be hassled when I dance, which I do a lot

(“non mi sposterei mai, solo perché mi piace così tanto qui: posso uscire senza che mi saltino addosso; è bello non essere disturbati quando si va a ballare, cosa che mi capita parecchio di fare”)

“It’s not a think of everybody saying: ‘Whoa, who’s out with who here?’ while photographers flash their bulbs in your face”

(“non è la situazione in cui tutti dicono: ‘Uau, chi è uscito con chi, qui?’ – mentre i fotografi ti fanno esplodere i flash in faccia”)

(continua)

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marialetiziacerica

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Lillian Morgan

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