Non mancava ancora molto al momento in cui Prince avrebbe chiuso la porta in faccia ad interviste e giornalisti. Al momento in cui sarebbe stato il solo a dettare regole. A vietare ai giornalisti di proporre temi sgraditi. A vietare loro l’uso di registratori, telecamere e – per un lungo periodo – penne, matite, blocchi per gli appunti.
Stava solo iniziando il conto alla rovescia. Per un paio di anni i giornalisti avrebbero ancora potuto permettersi il lusso di essere irriverenti con lui. Spiritosi. Sarcastici.
Irridenti. Irrispettosi.
Poi, sarebbe toccato a lui e nessuno avrebbe potuto più essere inopportuno con lui, senza pagarne le conseguenze.
(leggi: essere bandito per sempre da ogni contatto con lui)
Osserviamo ed analizziamo questa intervista a Prince realizzata da Mark Schwed, nel gennaio 1981:
Il titolo dell’articolo è già indicativo del tono generale del pezzo: “Prince likes to go on stage wearing scanty bikini briefs”
(una specie di esibizionista mezzo nudo, dunque, dotato persino di losco impermeabile)
“You’re not supposed to judge people by the clothes they wear even if the only thing covering their body is tiger-striped bikini briefs”
(eccolo di nuovo qui, il nostro bikini boy)
“The guy on stage wearing little more than his underwear goes by the name Prince. He prefers not to use his surname. He and his touring band have just been unleashed on the music world and it remains to be seen whether they will last longer than the fizzle in a bottle of soda pop”
(molti dei giornalisti che incontrano Prince e la sua band nel corso dei primi anni, quelli – i pochi – che hanno potuto intervistarlo liberamente prima del 1983, raccontano con occhio paternalistico/critico/sarcastico/non benevolo il ragazzo che hanno di fronte: qui si ipotizza persino che si tratti solo di un fenomeno passeggero come le bollicine di una bevanda gassata)
(una sorta di mansplaning, ma con una velatura – neanche tanto velata di giudizio negativo – però)
(…)
“Prince is a sensuous guy who sings about things on his Dirty Mind his latest album. He wears provocative costumes on stage including the skimpy bikini outfit and bumps grinds and sways to the beat of such songs as “Sexy Dancer” “Uptown” and “Do It All Night”
(…)
Le risposte di Prince sono quelle che di solito tira fuori quando percepisce il giudizio negli altri:
(pienamente nello stile di quegli anni)
‘People ask us about the way we dress, why do we dress so outrageously, why does it look like we’re gay?’ – he says – ‘One girl asked me about our costumes and I pulled her close and asked her if she’d be more comfortable in just her underwear. She giggled and said she would. For me to be standing on stage in a polyester suit would be kind of constricting’
(non ci vestiamo così perché siamo gay: ci sentiamo a nostro agio in costume sul palco)
(la ragazza che fa una domanda provocatoria, alla quale segue un gesto ugualmente provocatorio da parte di Prince)
(segue – ancora una volta – un riferimento ironico agli abiti di poliestere indossati sul palco dai cantanti più vicini alla tradizione, nei quali evidentemente lui non si riconosce e dai quali evidentemente vuole distinguersi)
(…)
‘I only write about things that occur’ – he says – ‘I’m not going to sit around and make up a bunch of phony stories about fantasies and such and put that out. That would make me a lot of money but it’s not the way it should be done’
(le storie che racconta arrivano dalla realtà che lo circonda, non ha nessuna intenzione di infiocchettare storie fasulle soltanto per fare contento il pubblico: è consapevole del fatto che potrebbe ricavarne grossi guadagni, ma non è davvero quello che desidera)
(…)
‘I’m not going to bow down to the establishment to make records like they want me to make. That’s why there’s a record sales slump’ – says the hairy-chested 20-year-old who produces composes and arranges all of his material and records albums in the basement of his home in Minneapolis”
(attenzione a questa affermazione risoluta di indipendenza totale dal potere e dall’establishment, da parte di Prince: su punti come questo egli non avrebbe mai cambiato – nemmeno di una virgola – la sua opinione, il suo giudizio, il suo stile di vita)
(“si chiama coerenza, bambina mia!”)
(…)
‘There used to be an attitude where everybody tried to be as different as they could be. Now, it’s rather dead I’m trying to put some life back into the recording industry at least for me’
(Prince ha fatto questa dichiarazione a 23 anni, dieci anni prima che iniziasse quel lunghissimo braccio di ferro che lo avrebbe opposto alla Warner – quello della famosa scritta ‘slave’ sulla guancia, per intenderci: il Prince di quegli anni, però, era già tutto qui, in queste parole, per intero)
“If crowd response is any indication his unique approach seems to be working”
(il pubblico lo segue: quindi va tutto bene, secondo il giornalista)
‘We get into some pretty heated situations trying to get out of the joints’ – says the long-maned Prince.
(a volte, spingere al limite le situazioni può risultare utile, ma anche rischioso: le persone, poi, vogliono quasi toccarti con mano – senza il ‘quasi’)
‘People get kind of crazy after every concert. They say they just want autographs but if they ever catch us it always hurts’
(affiora l’antica e mai domata paura di Prince, che ha sempre temuto la presenza della folla intorno a lui: se ci acchiappano possono farci del male)
(negli anni seguenti Prince avrebbe costruito intorno a sé una safety-zone di almeno dieci piedi)
(…)
“Prince can be called a rock ‘n’ roller, a discophile or a romantic, depending on which song he’s singing at the time”
(in effetti, in quei primi anni, lo stile ed i temi – per così dire – variegati, delle sue canzoni tendevano a confondere pubblico e critica)
(…)
“One reviewer wrote that Prince ‘is the first black rocker to gain mass acceptance since (Jimi) Hendrix’
(di nuovo il caro, vecchio Jimi, croce e delizia nelle interviste di/a Prince di quegli anni)
(la risposta di Prince all’osservazione del giornalista su Jimi è all’altezza del suo innato e sulfureo senso dell’umorismo)
‘That’s baloney’ – Prince says – ‘First of all they don’t even know if I’m black. What would they say if I was Chinese? The first Chinese rocker? Also I know nothing about Jimi Hendrix’
(quelle su Jimi sono baggianate – dice lui)
(non era per nulla vero che non sapesse niente di Jimi, ma l’idea del primo rocker cinese che non conosce Jimi e suona lo stesso il rock è davvero geniale!)
(lo avrebbe detto anni dopo a Neal Karlen: le persone continuavano a fare certi confronti tra lui e Jimi solo per via del colore della pelle)
La conclusione della chiacchierata è nel pieno stile di quei primi anni princiani:
‘We’re just basically real free do-what-we-want kids’ – Prince says – ‘We don’t worry about it because we don’t have anything to lose’
(molto chiaro, molto dirompente)
Fonte:
Mark Schwed, Kingsport-Times News, gennaio 1981