“Ma perché hai scelto di parlare proprio di Prince?” – mi hanno chiesto una volta. D’istinto ho risposto che l’ho scelto perché ho sempre amato lui e la sua musica.
In realtà le cose non sono andate esattamente così. Non ho affatto scelto Prince: in un certo senso è stato lui a scegliere me. È stato l’incontro con il suo sguardo, con l’intuizione improvvisa – fattasi strada improvvisamente dentro di me, in un giorno qualunque – di quello che si celava dietro quello sguardo: è stato proprio quello a spingermi a cercare di capire meglio chi fosse stata davvero quella persona. Ad indagare.
L’amore per la sua musica ha rappresentato solo una frazione, una parte – e nemmeno maggioritaria – della mia motivazione di base. Di partenza.
Amo la musica di Prince, ma non solo quella. Nel corso della mia giornata ascolto decine di brani musicali ed i suoi, a ben guardare, sono solo una parte di ciò che sento. Non sono focalizzata perennemente su di lui.
A contare, in quella scelta, è stato altro. Si è trattato di una comunicazione sotterranea. Archetipica, direi, ad occhio e croce.
In realtà, a pensarci ancora meglio, tutto era nato da un momento di disorientamento, di percezione improvvisa e quasi acuta del fatto che tutti i miei punti di riferimento mi stavano lasciando, o si riposizionavano. Lontani da me, però.
In quel momento esatto ho incrociato quello sguardo, dunque. Uno sguardo che si è posto come irresistibile. Mi invitava a seguirlo e l’ho fatto, immediatamente, senza stare a rifletterci su troppo.
Da allora – non so bene come e perché (ma ha senso chiederselo?) le cose hanno preso una direzione precisa e non mi è restato da fare altro da fare che seguirla, assecondarla. Senza paura. Anzi. Ed ho fatto bene, a guardare le cose in maniera retrospettiva, perché questa nuova, inusitata, realtà mi ha avvolto e riscaldato, come fa una coperta calda in pieno inverno.
E, da allora, è andato tutto bene, nel campo della creatività, in particolare.
E infatti è stato l’incontro con quegli occhi, con quello sguardo, in una particolare mattina d’estate, ad accendere tutto. Quasi si trattasse di una novità, mentre non lo era, almeno in apparenza: avevo già incontrato quegli occhi centinaia di volte.
Guardandoli, ho capito (intuito) che lì dietro si celava una persona che non aveva fatto altro che scappare da tutti, per tutta la sua vita. Si era sempre nascosto, mimetizzato. Lo aveva fatto, trasformandosi nel meraviglioso essere seduttivo che era diventato nel corso della sua vita. Aveva affascinato tutti, per sentirsi visto ed amato.
Ma lui non era davvero quello lì. Ed era quell’altro che volevo conoscere. Cercare. Trovare, forse. Questa consapevolezza mi ha permesso di individuare analogie possibili con il mio stesso modo di essere, solo perché – a ben guardare – con le persone si riesce sempre a trovare dei punti di contatto.
Siamo parte tutti quanti del medesimo nucleo, arriviamo tutti da lì, proviamo tutti la medesima sofferenza, abbiamo tutti avuto modi simili di reagire al dolore che la vita, in particolare modo nell’infanzia, ci ha fatto provare. Ed è proprio questo che ci apparenta, che ci fa riconoscere l’un l’altro.
Questo, è stato il mio viaggio. Ed è ancora in corso, a ben guardare.
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