“Si tratta soltanto di non dimenticare che gli Invisibili possono andarsene, lasciandoci soltanto i rapporti umani, per coprirci le spalle. Come dicevano i Greci dei loro dei: non chiedono molto, soltanto di non essere dimenticati”
“Take your hand in mine”
Se vi accingete a leggere le pagine che seguono, armatevi di epochè, sospendete per qualche tempo il giudizio, almeno quello razionale.
Ça va mieux. Ça ira mieux.
(è proprio necessario farlo: anzi, necessarissimo)
Stiamo entrando in un mondo popolato di sogni. Di immaginazione. Di intuizione, aggiungerei. Di qualche fantasma, perfino.
A dire il vero – a pensarci bene – questo fenomeno avviene da sempre, con regolarità in quasi tutte le storie che leggiamo.
Anche lì sospendiamo il giudizio. Continuamente.
Nei romanzi, nelle novelle. Nella poesia. Guardando lo schermo sul quale viene proiettata una meravigliosa storia d’amore. O una tragedia.
Sospendiamo di continuo il giudizio.
Qualcuno, leggendo la “Divina Commedia” o “Il Canzoniere”, si chiede davvero se sia mai esistita Beatrice, o se Laura sia vissuta in qualche punto del tempo o dello spazio (a Vaucluse o altrove) che la collochi al di fuori delle poesie che un innamorato non corrisposto ha creato per lei, durante quasi tutta la sua vita?
O qualcuno si domanda se Albertine sia stata davvero Albertine o se nella realtà corrispondesse a qualcun altro e si chiamasse invece Alfred, di mestiere chauffeur?
Nessuno se lo chiede, perché non è importante: si sospende il giudizio e si entra in un mondo magico, quello generato dalla creazione e dall’immaginazione.
E lì, tutto è davvero possibile.
(“Ricordatevi sempre! Voi siete Dio!” – ci ammoniva di continuo Ed Mc Bain, durante un seminario sulla scrittura dei romanzi)
L’immaginazione ha una sola regola: non ci sono regole.
Ti devi solo limitare a seguirla, come faresti andando dietro ad un gatto, che si sta muovendo molto di fretta e non ha nessuna intenzione di farsi acchiappare.
Da te, in particolare.
Devi essere veloce, cercare di prenderlo al volo, possibilmente anche per la coda, trascinarlo con te, cercando persino di uscirne indenne. Senza graffi, senza scie di sangue a complicare le cose. A sporcare tutto.
Devi seguire l’onda, dunque. Il flow.
Devi lasciare la razionalità fuori dalla porta di ingresso, ad attendere disciplinatamente seduta sullo zerbino, come fanno gli animali ben addestrati. Ferma lì, ad aspettare il tuo ritorno.
Se mai deciderai di tornare, sia ben chiaro.
Perché stare dietro all’immaginazione ti cattura, mentre scrivi. Sul serio. E potresti restartene lì, a tempo indeterminato.
Mentre segui il Bianconiglio che corre come un dannato, ti rendi dunque conto che le pareti della realtà franano intorno a te. Si frantumano. Non c’è direzione che tu non possa prendere.
“Everything U think is true” – per dirla con qualcun altro. Sei libero, semplicemente. E dentro quella libertà può accadere qualsiasi cosa.
Sospendete il giudizio, dunque.
Dentro una storia immaginata i morti possono risorgere, o non essere mai andati via, oppure possono essere sì morti, ma solo per un po’. O solo per gioco. Riescono a tornare da noi, per portare a termine una missione, per consolare un cuore afflitto dal dolore.
(il nostro cuore, il nostro dolore)
Ci eravamo sbagliati. Non se n’erano andati: era stato solo uno stupido scherzo del destino, che, chissà perché, senza prima avvisarci, ha messo di nuovo le cose al loro posto. Una volta tanto non è stato cinico e baro.
E noi siamo lì. A gioirne. Senza farci troppe domande.
(avrebbe senso, poi?)
Siamo appena entrati in una sorta di realtà parallela: quella creata per noi dall’immaginazione, che è anche una parente stretta del mito. Si appoggiano l’una all’altra, da tempo immemore.
Ed il mito è del tutto alogico, per definizione.
Non si può spiegarlo razionalmente, altrimenti lo si uccide, come osservano alcuni. Giustamente.
“Il mito rimane sempre un po’ al di là, rispetto alle spiegazioni che noi ne diamo, e non dà alcuna spiegazione di sé. I miti scivolano nell’invisibile”
È proprio così.
Se amate la razionalità, se essa è alla base della vostra esistenza, allora forse quello che segue non fa per voi.
Parliamo di miti. Parliamo di storie possibili.
(o forse sì, fa davvero per voi, invece? – magari sarete corroborati dal fatto di affidarvi una volta tanto solo all’immaginazione, fosse solo per qualche pagina di un semplice libro)
Anyway
Proviamo a fare finta che il diaframma (di spazio, di tempo, di materia) esistente tra noi e chi se ne era andato di fuori, in giardino – quello dell’Eden – a godersi il sole, lontano da noi, si sia distratto, giusto lo spazio di un minuto e, in virtù di questa dimenticanza da parte di quel benedetto diaframma, qualcuno degli ospiti sia riuscito a sgusciare via, quatto quatto, a tornare da quest’altra parte del vetro.
Nell’acquario in cui ci dibattiamo quotidianamente. Per venirne fuori in modo onorevole.
Non ci sono più le barriere di una volta – si direbbe – e, di conseguenza, alcuni miracoli si possono verificare. Spontaneamente. Quasi da soli.
O agevolati da qualcuno o qualcosa.
Le persone molto amate possono fare di nuovo capolino. Si palesano, spesso senza darci un preavviso. Perché sentono il bisogno di farsi vedere. Di ristabilire un contatto. Hanno ancora delle cose da dirci. Da fare. Insieme a noi. Non ci hanno mai dimenticato.
Oppure ci hanno visti: a gambe incrociate, con le mani sul viso, concentrati nello sforzo di ricordare il loro volto, la fisionomia, che iniziano a sfuggire alla memoria in modo impalpabile.
Ed eccole lì, un bel giorno, davanti a noi, vive e vegete. Sorridono, camminano, parlano.
Tornano ad amarci. Come prima. Più di prima, forse.
Hanno capito molte cose, – forse – stando in quel giardino a godersi la luce del sole. Lontane da noi. Osservandoci da lontano.
Possono comparirci di fronte in un giorno qualsiasi, senza chiedere il nostro permesso, facendoci sussultare, come se avessimo visto un fantasma (ed effettivamente, è così: abbiamo appena visto un fantasma), oppure potrebbero essere state evocate da noi, senza che ce ne rendessimo conto, per motivi che non necessariamente devono essere spiegati agli altri. Qualcuno ha deciso di ascoltare il nostro dolore. Ed ha messo riparo a quell’ingiustizia che rattristava da tempo la nostra esistenza.
È andata così e basta.
Ci mancavano e sentivamo impellente il bisogno della loro presenza? Eccole qui! “Ci siamo impietositi: eccole qui!” – dicono gli dei, quasi per giustificarsi di quello che hanno appena fatto.
Tutte per noi. Eccole qui!
Saranno arrivate sotto forma di Daimones? Si saranno materializzate per aiutarci in qualcosa? Difficile dirlo. Difficile capirlo subito.
Forse chi le ha mandate indietro – da noi, per noi – ha deciso di farle scendere di nuovo, per aiutarci a sopportare un’esistenza fattasi improvvisamente intollerabile. Per aiutarci in un passaggio davvero arduo della nostra vita.
(vai a saperlo!)
Dunque: sospendete il giudizio, please.
Epochè: questa è la parola d’ordine.
(…more or less…)
Godetevi questo ritorno.
Epochè.
Ne abbiamo tutti bisogno, credo.
La pensa così anche il nostro Franz che scrive così in questa lettera:
“Pensi anche, Milena, in che modo vengo da Lei, quale viaggio di 38 anni ho alle mie spalle (…). e se ad una svolta della strada, apparentemente fortuita, vedo Lei che non mi sono mai aspettato di vedere, meno che mai ora, così tardi, non posso gridare, Milena, e nulla grida dentro di me, non dico neanche mille pazzie, ché sono dentro di me (prescindo dall’altra pazzia, che possiedo fin troppo) e del fatto di essermi inginocchiato vengo forse a sapere soltanto perché vedo vicinissimi, davanti ai miei occhi, i Suoi piedi e li accarezzo”.