YOU ARE THE ARTIST

 

“THIS TOWN IS MY FREEDOM”

PRINCE: A WONDERFUL TRIP

 “Cosa sei andata a fare fino a Minneapolis?”

“Sono andata a cercare l’uomo, certo non la star!”

COMING SOON ⬇️

PRINCE: HE’S BACK!

Blue Darkness

 

“Mettiti qui, vicino a me!” – mi dici, battendo il palmo della mano sul prato, dopo esserti seduto. 

“Eccomi, arrivo subito” – dico, mentre mi avvicino.

Poggio in terra la borsa. Mi siedo a gambe incrociate. L’erba è morbida. Profumata. Piccoli fiori gialli, ovunque. Un minuscolo ragno si sta arrampicando su uno stelo, che si piega, leggermente, sotto il suo peso.

Mi guardo intorno.

Guardo il grande prato verde che mi circonda. Il ciuffo di alberi in cima alla collinetta che ci sovrasta. Il lago Riley, più in basso. L’acqua di un blu profondo, quasi nero.

 

(il capitolo continua, all’interno del libro in preparazione)

CHI SIAMO

 SKIP, aka ALEXANDER NEVERMIND, aka JAMIE STARR, aka PETER BRAVESTRONG, aka Love Symbol, aka The Artist, aka…

(È sempre lui):

Prince Rogers Nelson

 Maria Letizia Cerica: prinsologa dilettante e semplice voce narrante,  in queste pagine

MLC

l'ideatrice di questo blog

 Sempre lui : Prince Rogers Nelson

PRN

Impossibile farne una descrizione in breve: per saperne di più, scendete nella pagina ⬇️

PURPLE PILLS

STORIE, FRAMMENTI,RECENSIONI, IMMAGINI, VIDEO: TUTTI SU DI LUI, PRINCE ROGERS NELSON, IL NOSTRO SKIP, RACCONTATO NELLA SUA DIMENSIONE UMANA E TERRESTRE

Across the street from McDonald’s, Prince spies a smaller landmark. He points to a vacant corner phone booth and remembers a teenage fight with a strict and unforgiving father. ‘That’s where I called my dad and begged him to take me back after he kicked me out’- he begins softly – ‘He said no, so I called my sister and asked her to ask him. So she did, and afterward told me that all I had to do was call him back, tell him I was sorry, and he’s take me back. So I did, and he still said no. I sat crying at that phone booth for two hours. That’s the last time I cried’

(Neil Karlen, “Prince Talks”, Rolling Stone, 1985)

PERCHÉ QUESTO BLOG?

 Proviamo a raccontare un uomo straordinario, un artista visionario, un essere enigmatico: quello che è stato per tutta la sua vita Prince Rogers Nelson. Irrealistico anche solo pensare di riuscire a dire tutto di lui, a raccontarlo, a circoscriverlo in qualche modo, a definirlo in ogni sua parte. Qui dunque spargeremo solo frammenti, curiosità, gusci d’uovo, che cercheranno di dare un’idea di quello che è stato, di quello che ha rappresentato. Per tutti noi. Per quasi 40 anni. E oltre.

...have a purple day...

PURPLE PILLS

(ideato e realizzato da Maria Letizia Cerica) (con abbondanti e generosi interventi dall'alto) ⬆️

PURPLE PILLS: interviste/articoli

Eye-liner

“C’est ce qu’ont bien compris ces animaux artistes qui se maquillent, les humains. Certains motifs du maquillage ne sont pas de pures inventions de l’imagination humaine, des créations arbitraires: ils sont bio-inspirés. Ils accentuent les pouvoirs éthologiques du survisage humain, ils stylisent encore nostre masque animal.

Les deux cas le plus nets sont justement deux amplifications de contraste pour accentuer l’intensité du regard.

La première technique est l’eye-liner. En accentuant le contraste entre pupille et fond de l’œil par l’ajout d’une enceinte féline sombre, il mime la profondeur du regard de la panthère (elle dispose de naissance de cette ligne noire autour de l’œil).

C’est exactement la même structure sombre/clair/sombre qu’utilise le masque naturel du loup.

Hommes et femmes de théâtre fardent de nuit le tour de l’œil avant de monter sur scène: ils savent depuis toujours que cela en accentue l’expressivité.

Mais cette technique a été inventée par l’evolution des millions d’années avant les acteurs, par la lignée des grands félins, comme par d’autres.

L’eye-liner trouve son origine historique dans la poudre de khôl qui fardait les yeux des Égyptiens des deux sexes. Cette filiation est un indice, un détail révélateur d’une filiation plus profonde, qu’on peut pister jusque dans nos salles de bains.

L’Égipte antique était familière des métis d’animaux et d’humains (avec ses dieux thériantropes, à têtes de fauves, d’oiseaux, de serpents…)

Cette culture antique était aussi familière des survisages de la panthère et de l’antilope: c’était leur faune quotidienne.

Et c’est de l’Égypte antique qui provient une part de notre tradition du maquillage des yeux: dessiner le tour de l’œil, comme on le voit sur les fresques, et probablement aussi assombrir les cils.

Il n’est pas imprudent de conjecturer que le trait de khôl égyptien, donc l’eye-liner, est une technique bio-inspirée qui confère volontairement à l’œil humain l’intensité du regard de la panthère. Une technique qui capture le même amplificateur de contraste que l’évolution a peint sur le survisage de grands félins.

Dans une culture où votre déesse a une tête de lionne, où les animaux ne sont pas des bestioles mais des divinités, prendre leur survisage pour modèle dans l’apprentissage d’une expressivité intensifiée fait parfaitement sens.

Jusqu’à aujourd’hui, même les plus obtus ressentent douloureusement la puissance esthétique d’un survisage de panthère.

La tradition antique y a puisé des leçons de beauté, au sens vivant: la beauté comme manière d’habiter une forme.”

Fonte: Baptiste Morizot, “Manières d’être vivant”, Actes Sud, 2020

LA VITA È FATTA DI FRAMMENTI

Frammenti, validi come premessa

Ho sempre ammirato quelli capaci di creare/vedere grandi sistemi, rispetto al mondo circostante. Quelli che riescono a far coincidere tutti i pezzi della loro cosmologia e tutto il loro universo, una volta completato il lavoro, arriva ad assumere connotati netti e precisi. Ascissa, ordinata. Tutto in ordine.

Non sono mai riuscita ad essere così.

Riesco a fissarmi solo sui particolari. L’universale da sempre mi sfugge.

Spesso anche i particolari – nel particolare – mi sfuggono: nel senso che riesco a focalizzarmi sui frammenti, sulle briciole. Passo ore ed ore a guardare le briciole di realtà, analizzandole a volte in modo ossessivo.

Se mi innamoro di un libro, di un film o di una serie, sono capace di guardare e riguardare decine, centinaia di volte una pagina, una scena, l’inclinazione di un viso, una risata, l’intonazione di una voce, come se tutte queste cose – assolutamente slegate dalla visione d’insieme di quell’opera – potessero improvvisamente spiegarmi il senso della vita.

Da quella briciola pretendo di arrivare alla visione d’insieme.

Penso che sia la strada più sbagliata per arrivare al panorama finale. Scendo verso il basso del mio personalissimo Mont Ventoux, sperando di arrivare a vedere un panorama elevato che avrebbe richiesto ben altra strada, ben altro coraggio visivo.

Metto insieme questi pezzi slegati tra loro, nell’assurda speranza che essi possano indicarmi la giusta via.

Sto lì ad accantonarli, li allineo – uno vicino all’altro – sperando che una bella mattina, dopo essermi alzata da un sonno ristoratore, l’illuminazione arriverà, subito dopo essermi stropicciata gli occhi.

Ecco perché non mi riesce di costruire vere storie. Non riesco ad inventare personaggi: riesco a parlare solo di quelli che esistono già e che – a mio parere – costituiscono un campionario sufficiente per uno scrittore.

È già tutto lì: basta armarsi di pazienza ed osservare, ascoltare, trascrivere. La realtà parla da sola.

Lo so, l’eterno dilemma: se l’artista sia specchio o lampada.

Sono specchio o lampada? Un fiammifero, forse.

Ho quaderni pieni di osservazioni sparse, scritte a mano su quaderni bellissimi (quelli sì).

Osservazioni che dovrebbero essere trascritte, riordinate, cercando di dare loro un verso.

E mentre so che questo sarebbe il lavoro a cui dare priorità, mi metto a scrivere una premessa come questa, all’interno della quale prometto di fare ciò che continuo a rimandare.

(e sempre a Petrarca torniamo: ai suoi buoni propositi irrealizzati)

Ma le premesse – si sa – sono bussole indispensabili. Per capire. Per orizzontarsi. Per procedere.

 

PICS FROM MPLS

Stanze del Midwest
...nove ore di viaggio, una notte che nella tua testa non lo è affatto e ti ritrovi a guardare fuori dalla finestra: ti ricordi all'improvviso che sei su un'isola, che quell'isola è in mezzo al Mississippi e che sei nella città di Skip...
Stanze del Midwest
Ed è guardando da quelle persiane che scopri per la prima volta il Mississippi, nella sua grandezza
Il Ponte 1
L'isola in mezzo al Mississippi è collegata alla terraferma da un antico ponte in ferro e legno. Da lì si vede scorrere l'acqua, destinata a percorrere migliaia di chilometri
Il ponte 2
Tra l'isola e la terraferma c'è questo ponte in ferro e legno. Sotto, scorre il Mississippi, placido, limaccioso. Lo osservi, mentre passa sotto i tuoi piedi, trascinandosi dietro qualche tronco raccolto durante il cammino.
Hennepin Bridge
Hennepin Bridge ha un carattere quasi metafisico: fa un salto acrobatico sul Mississippi e ti permette di guardarlo dall'alto, da spettatore minuscolo che immagina contemporaneamente anche altre presenze, oltre alla sua, in altri momenti, in altri tempi
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A LETTER

Dearest Tracy,

thank U 4 your letter. It’s a good feeling 2  know that one’s work is appreciated by others. It’s the main thing that keeps me working. And if I ever make a video with 10-year olds in ’em, you’re invited. (smile)

I would love a picture of you. Don’t worry about what they look like. I take bad pictures all time. I hope U like Purple Rain, it’s a good movie. But, don’t listen 2 the swear words.

Happy birthday, and don’t forget 2 say your prayers. God loves you.

Your Purple friend,

Prince”

...searchin' & findin' Skip in MPLS... (part I)

…sentire scorrere l’acqua, il potere calmante dell’acqua, avere a così breve distanza, praticamente a portata immediata di sguardo, una massa tanto imponente di acqua in continuo movimento, ha avuto su di me un forte potere ipnotico: sono andata di continuo a vederla. Solo chi è cresciuto accanto all’acqua può capirne il fascino irresistibile…

Have a Purple Day

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PILLOLE VIOLA CHE PARLANO DI LUI – DI SKIP – DEL SUO MONDO, DELLA SUA MUSICA

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PILLOLE VIOLA

RANDOMLY GRABBED POSTS

NEAL + PRINCE:A TRIP IN&OUT A (BOY)MAN (IVparte)

Era una persona complessa. Sicuro. Sicurissimo.

Prince aveva una personalità difficile da comprendere, per chiunque, ad un primo sguardo. Ad uno sguardo superficiale. Specie per chi lo vedesse/incontrasse per la prima volta.

(i pochi autorizzati ad entrare all’interno della sua zona di rispetto e solo per il tempo strettamente necessario, ovviamente, e niente di più)

Come molti di noi – egli possedeva molti strati disposti sotto la sua superficie, ma non permetteva a nessuno di scavare là sotto.

Non lo ha mai permesso a nessuno.

Si celava a tutti, dunque.

Mostrava sempre e soltanto quello che ritenesse utile mostrare in quel momento. Niente di più. E mai troppo a lungo.

In questa intervista che concede nel 1985 – dopo anni di silenzio stampa – a Neal Karlen di Rolling Stone egli decide di sembrare abbordabile. Un ragazzo qualunque, arrivato al successo dopo una serie infinita di dolori e difficoltà.

(la pura verità, a dire il vero)

Uno che fa una vita regolare, fatta di lavoro e lavoro.

(il che è perfettamente vero)

Voleva allontanare ogni diceria sui suoi comportamenti bizzarri ed eccolo lì: il ragazzo della porta accanto, timido, ma accessibile.

(il che è anche – altrettanto e assolutamente – vero, sotto un certo punto di vista)

Questa intervista – come ho sottolineato più volte – è una sorta di unicum. Pochi sono riusciti ad avvicinarlo e ad affiancarlo nel modo in cui Neal Karlen ha potuto fare in quell’occasione. Passando così tante ore con lui. Guardandolo muoversi davanti a lui, senza la mediazione di staff e di assistenti personali.

Prince viveva di distanza.

(continua nella sezione articoli)

The Purple House

TALKING ABOUT SKIP

IL MIO ULTIMO LIBRO: "THE BEAUTIFUL PRINCE" (LUGLIO 2022)

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Have a Purple Day

A NEW NEW NEW STORY!

he's back!

PAGE ONE ONE

“Il tuo passato immaginato da me, il nostro supposto futuro” “C’è un tipo di rapporto, l’unico durevole, in cui è come se tra due esseri umani corresse un invisibile filo telegrafico. Dentro di me lo chiamo: ‘Il filo d’oro’ ” “Tutto ho raccolto di te briciole, frammenti, polvere, tracce, supposizioni, accenti restati in voci altrui, qualche grano di sabbia, una conchiglia, il tuo passato immaginato da me, il nostro supposto futuro, ciò che avrei voluto da te, ciò che mi avevi promesso, i miei sogni infantili, certe sciocche rime sulla giovinezza, un papavero sul ciglio di una strada polverosa” (coming soon)

PAGE TWO TWO

Gràphein, Oràn, Èchein “Cara signora Milena, la pioggia che durava da due giorni ed una notte è appena cessata, forse soltanto provvisoriamente, ma è certo un avvenimento degno di essere festeggiato ed io lo faccio, scrivendo a Lei” “Franz, sbagliato, F sbagliato, Tuo, sbagliato, non più, silenzio, bosco profondo” (coming soon)

SENDING/FINDING LOVE

To: Skip, somewhere-nowhere From: (It’s) me Object: need help&(possibly)love:right now! please-please-please, come here! Caro Skip-del-mio-cuor, here we are. Lo so. Sei lì da un po’, a prendere il sole, nel Giardino. Beatamente. Non vuoi seccature e - credimi - ti capisco benissimo. Le persone come me sono una bella rottura di maroni, come glisserebbe - e con ragione - mio figlio. Però. (coming soon)

IPSE DIXIT: CRUMBS FROM HIS INTERVIEWS

IPSE DIXIT

"Once I made it, got my first record contract, got my name on a piece of paper and a little money in my pocket, I was able to forgive. Once I was eating every day, I became a much nicer person" (1985)
MUSICIAN: And what’s your last name? Is it Nelson? PRINCE: I don’t know. (1983)
About Minnesota: “I was born here, unfortunately.” (1977)
"I believe in teachers, but not for me" (1979)
About concerts: “I really don’t have time to make the concerts" (1977)
“Do you get out much?” “No. Not really.” “What age range of young ladies do you like?” “It doesn’t matter.” (1979)
About studying music: "I’ve had about two lessons, but they didn’t help much" (1977)
"We won’t be able to use that. I hate wasting time. I want to hear that song on the radio" (1977)
About music:“I wanted to make a different-sounding record" (1977)
first time he saw his father performing on stage (Prince was a 5 years old boy): "He was up on stage and it was amazing. I remembered thinking, ’These people think my dad is great.’" (1982)
"I think society says if you’ve got a little black in you that’s what you are. I don’t" (Musician, 1983)
About being a performer: "I wanted to be part of that" (1977)
PRINCE: Probably take a long bath. I haven’t had one in a long time. I’m scared of hotel bathtubs. (‘quale sarà la prima cosa che farai, quando tornerai a Minneapolis?’) (‘con ogni probabilità, un lungo bagno, non ne ho fatto uno per parecchio tempo, mi spaventano le vasche da bagno degli hotel’) MUSICIAN: What do you fear? PRINCE: They just...a maid could walk in and see me.
About school: "To this day, I don’t use anything that they taught me. Get your jar, and dissect frogs and stuff like that" 1983

MY PODCASTS ABOUT HIM

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LAST STUFF

Epochè

Si tratta soltanto di non dimenticare che gli Invisibili possono andarsene, lasciandoci soltanto i rapporti umani, per coprirci le spalle. Come dicevano i Greci dei loro dei: non chiedono molto, soltanto di non essere dimenticati

Take your hand in mine

Se vi accingete a leggere le pagine che seguono, armatevi di epochè, sospendete per qualche tempo il giudizio, almeno quello razionale.

Ça va mieux. Ça ira mieux.

(è proprio necessario farlo: anzi, necessarissimo)

Stiamo entrando in un mondo popolato di sogni. Di immaginazione. Di intuizione, aggiungerei. Di qualche fantasma, perfino.

A dire il vero – a pensarci bene – questo fenomeno avviene da sempre, con regolarità in quasi tutte le storie che leggiamo.

Anche lì sospendiamo il giudizio. Continuamente.

Nei romanzi, nelle novelle. Nella poesia. Guardando lo schermo  sul quale viene proiettata una meravigliosa storia d’amore. O una tragedia.

Sospendiamo di continuo il giudizio.

Qualcuno, leggendo la “Divina Commedia” o “Il Canzoniere”, si chiede davvero se sia mai esistita Beatrice, o se Laura sia  vissuta in qualche punto del tempo o dello spazio (a Vaucluse o altrove)  che la collochi al di fuori delle poesie che un innamorato non corrisposto ha creato per lei, durante quasi tutta la sua vita?

O qualcuno si domanda se Albertine sia stata davvero Albertine o se nella realtà corrispondesse a qualcun altro e si chiamasse invece Alfred, di mestiere chauffeur?

Nessuno se lo chiede, perché non è importante: si sospende il giudizio e si entra in un mondo magico, quello generato dalla creazione e dall’immaginazione.

E lì, tutto è davvero possibile.

(“Ricordatevi sempre! Voi siete Dio!” – ci ammoniva di continuo Ed Mc Bain, durante un seminario sulla scrittura dei romanzi)

L’immaginazione ha una sola regola: non ci sono regole.

Ti devi solo limitare a seguirla, come faresti andando dietro ad un gatto, che si sta muovendo molto di fretta e non ha nessuna intenzione di farsi acchiappare.

Da te, in particolare.

Devi essere veloce, cercare di prenderlo al volo, possibilmente anche per la coda, trascinarlo con te, cercando persino di uscirne indenne. Senza graffi, senza scie di sangue a complicare le cose. A sporcare tutto.

Devi seguire l’onda, dunque. Il flow.

Devi lasciare la razionalità fuori dalla porta di ingresso, ad attendere disciplinatamente seduta sullo zerbino, come fanno gli animali ben addestrati. Ferma lì, ad aspettare il tuo ritorno.

Se mai deciderai di tornare, sia ben chiaro.

Perché stare dietro all’immaginazione ti cattura, mentre scrivi. Sul serio. E potresti restartene lì, a tempo indeterminato.

Mentre segui il Bianconiglio che corre come un dannato, ti rendi dunque conto che le pareti della realtà franano intorno a te. Si frantumano. Non c’è direzione che tu non possa prendere.

Everything U think is true” – per dirla con qualcun altro. Sei libero, semplicemente. E dentro quella libertà può accadere qualsiasi cosa.

Sospendete il giudizio, dunque.

Dentro una storia immaginata i morti possono risorgere, o non essere mai andati via, oppure possono essere sì morti, ma solo per un po’. O solo per gioco. Riescono a tornare da noi, per portare a termine una missione, per consolare un cuore afflitto dal dolore.

(il nostro cuore, il nostro dolore)

Ci eravamo sbagliati. Non se n’erano andati: era stato solo uno stupido scherzo del destino, che, chissà perché, senza prima avvisarci, ha messo di nuovo le cose al loro posto. Una volta tanto non è stato cinico e baro.

E noi siamo lì. A gioirne. Senza farci troppe domande.

(avrebbe senso, poi?)

Siamo appena entrati in una sorta di realtà parallela: quella creata per noi dall’immaginazione, che è anche una parente stretta del mito. Si appoggiano l’una all’altra, da tempo immemore.

Ed il mito è del tutto alogico, per definizione.

Non si può spiegarlo razionalmente, altrimenti lo si uccide, come osservano alcuni. Giustamente.

Il mito rimane sempre un po’ al di là, rispetto alle spiegazioni che noi ne diamo, e non dà alcuna spiegazione di sé. I miti scivolano nell’invisibile

È proprio così.

Se amate la razionalità, se essa è alla base della vostra esistenza, allora forse quello che segue non  fa per voi.

Parliamo di miti. Parliamo di storie possibili.

(o forse sì, fa davvero per voi, invece? – magari sarete corroborati dal fatto di affidarvi una volta tanto solo all’immaginazione, fosse solo per qualche pagina di un semplice libro)

Anyway

Proviamo a fare finta che il diaframma (di spazio, di tempo, di materia) esistente tra noi e chi se ne era andato di fuori, in giardino – quello dell’Eden – a godersi il sole, lontano da noi, si sia distratto, giusto lo spazio di un minuto e, in virtù di questa dimenticanza da parte di quel benedetto diaframma, qualcuno degli ospiti  sia riuscito a sgusciare via, quatto quatto, a tornare da quest’altra parte del vetro.

Nell’acquario in cui ci dibattiamo quotidianamente. Per venirne fuori in modo onorevole.

Non ci sono più le barriere di una volta – si direbbe – e, di conseguenza, alcuni miracoli si possono verificare. Spontaneamente. Quasi da soli.

O agevolati da qualcuno o qualcosa.

Le persone molto amate possono fare di nuovo capolino. Si palesano, spesso senza darci un preavviso. Perché sentono il bisogno di farsi vedere. Di ristabilire un contatto. Hanno ancora delle cose da dirci. Da fare. Insieme a noi. Non ci hanno mai dimenticato.

Oppure ci hanno visti: a gambe incrociate, con le mani sul viso, concentrati nello sforzo di ricordare il loro volto, la fisionomia, che iniziano a sfuggire alla memoria in modo impalpabile.

Ed eccole lì, un bel giorno, davanti a noi, vive e vegete. Sorridono, camminano, parlano.

Tornano ad amarci. Come prima. Più di prima, forse.

Hanno capito molte cose, – forse – stando in quel giardino a godersi la luce del sole. Lontane da noi. Osservandoci da lontano.

Possono comparirci di fronte in un giorno qualsiasi, senza chiedere il nostro permesso, facendoci sussultare, come se avessimo visto un fantasma (ed effettivamente, è così: abbiamo appena visto un fantasma), oppure potrebbero essere state evocate da noi, senza che ce ne rendessimo conto, per motivi che non necessariamente devono essere spiegati agli altri. Qualcuno ha deciso di ascoltare il nostro dolore. Ed ha messo riparo a quell’ingiustizia che rattristava da tempo la nostra esistenza.

È andata così e basta.

Ci mancavano e sentivamo impellente il bisogno della loro presenza? Eccole qui! “Ci siamo impietositi: eccole qui!” – dicono gli dei, quasi per giustificarsi di quello che hanno appena fatto.

Tutte per noi. Eccole qui!

Saranno arrivate sotto forma di Daimones? Si saranno materializzate per aiutarci in qualcosa? Difficile dirlo. Difficile capirlo subito.

Forse chi le ha mandate indietro – da noi, per noi – ha deciso di farle scendere di nuovo, per aiutarci a sopportare un’esistenza fattasi improvvisamente intollerabile. Per aiutarci in un passaggio davvero arduo della nostra vita.

(vai a saperlo!)

Dunque: sospendete il giudizio, please.

Epochè: questa è la parola d’ordine.

(…more or less…)

Godetevi questo ritorno.

Epochè.

Ne abbiamo tutti bisogno, credo.

La pensa così anche il nostro Franz che scrive così in questa lettera:

Pensi anche, Milena, in che modo vengo da Lei, quale viaggio di 38 anni ho alle mie spalle (…). e se ad una svolta della strada, apparentemente fortuita, vedo Lei che non mi sono mai aspettato di vedere, meno che mai ora, così tardi, non posso gridare, Milena, e nulla grida dentro di me, non dico neanche mille pazzie, ché sono dentro di me (prescindo dall’altra pazzia, che possiedo fin troppo) e del fatto di essermi inginocchiato vengo forse a sapere soltanto perché vedo vicinissimi, davanti ai miei occhi, i Suoi piedi e li accarezzo”.

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marialetiziacerica

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Lillian Morgan

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