YOU ARE THE ARTIST

 

“THIS TOWN IS MY FREEDOM”

PRINCE: A WONDERFUL TRIP

 “Cosa sei andata a fare fino a Minneapolis?”

“Sono andata a cercare l’uomo, certo non la star!”

COMING SOON ⬇️

PRINCE: HE’S BACK!

Blue Darkness

 

“Mettiti qui, vicino a me!” – mi dici, battendo il palmo della mano sul prato, dopo esserti seduto. 

“Eccomi, arrivo subito” – dico, mentre mi avvicino.

Poggio in terra la borsa. Mi siedo a gambe incrociate. L’erba è morbida. Profumata. Piccoli fiori gialli, ovunque. Un minuscolo ragno si sta arrampicando su uno stelo, che si piega, leggermente, sotto il suo peso.

Mi guardo intorno.

Guardo il grande prato verde che mi circonda. Il ciuffo di alberi in cima alla collinetta che ci sovrasta. Il lago Riley, più in basso. L’acqua di un blu profondo, quasi nero.

 

(il capitolo continua, all’interno del libro in preparazione)

CHI SIAMO

 SKIP, aka ALEXANDER NEVERMIND, aka JAMIE STARR, aka PETER BRAVESTRONG, aka Love Symbol, aka The Artist, aka…

(È sempre lui):

Prince Rogers Nelson

 Maria Letizia Cerica: prinsologa dilettante e semplice voce narrante,  in queste pagine

MLC

l'ideatrice di questo blog

 Sempre lui : Prince Rogers Nelson

PRN

Impossibile farne una descrizione in breve: per saperne di più, scendete nella pagina ⬇️

PURPLE PILLS

STORIE, FRAMMENTI,RECENSIONI, IMMAGINI, VIDEO: TUTTI SU DI LUI, PRINCE ROGERS NELSON, IL NOSTRO SKIP, RACCONTATO NELLA SUA DIMENSIONE UMANA E TERRESTRE

Across the street from McDonald’s, Prince spies a smaller landmark. He points to a vacant corner phone booth and remembers a teenage fight with a strict and unforgiving father. ‘That’s where I called my dad and begged him to take me back after he kicked me out’- he begins softly – ‘He said no, so I called my sister and asked her to ask him. So she did, and afterward told me that all I had to do was call him back, tell him I was sorry, and he’s take me back. So I did, and he still said no. I sat crying at that phone booth for two hours. That’s the last time I cried’

(Neil Karlen, “Prince Talks”, Rolling Stone, 1985)

PERCHÉ QUESTO BLOG?

 Proviamo a raccontare un uomo straordinario, un artista visionario, un essere enigmatico: quello che è stato per tutta la sua vita Prince Rogers Nelson. Irrealistico anche solo pensare di riuscire a dire tutto di lui, a raccontarlo, a circoscriverlo in qualche modo, a definirlo in ogni sua parte. Qui dunque spargeremo solo frammenti, curiosità, gusci d’uovo, che cercheranno di dare un’idea di quello che è stato, di quello che ha rappresentato. Per tutti noi. Per quasi 40 anni. E oltre.

...have a purple day...

PURPLE PILLS

(ideato e realizzato da Maria Letizia Cerica) (con abbondanti e generosi interventi dall'alto) ⬆️

PURPLE PILLS: interviste/articoli

Eye-liner

“C’est ce qu’ont bien compris ces animaux artistes qui se maquillent, les humains. Certains motifs du maquillage ne sont pas de pures inventions de l’imagination humaine, des créations arbitraires: ils sont bio-inspirés. Ils accentuent les pouvoirs éthologiques du survisage humain, ils stylisent encore nostre masque animal.

Les deux cas le plus nets sont justement deux amplifications de contraste pour accentuer l’intensité du regard.

La première technique est l’eye-liner. En accentuant le contraste entre pupille et fond de l’œil par l’ajout d’une enceinte féline sombre, il mime la profondeur du regard de la panthère (elle dispose de naissance de cette ligne noire autour de l’œil).

C’est exactement la même structure sombre/clair/sombre qu’utilise le masque naturel du loup.

Hommes et femmes de théâtre fardent de nuit le tour de l’œil avant de monter sur scène: ils savent depuis toujours que cela en accentue l’expressivité.

Mais cette technique a été inventée par l’evolution des millions d’années avant les acteurs, par la lignée des grands félins, comme par d’autres.

L’eye-liner trouve son origine historique dans la poudre de khôl qui fardait les yeux des Égyptiens des deux sexes. Cette filiation est un indice, un détail révélateur d’une filiation plus profonde, qu’on peut pister jusque dans nos salles de bains.

L’Égipte antique était familière des métis d’animaux et d’humains (avec ses dieux thériantropes, à têtes de fauves, d’oiseaux, de serpents…)

Cette culture antique était aussi familière des survisages de la panthère et de l’antilope: c’était leur faune quotidienne.

Et c’est de l’Égypte antique qui provient une part de notre tradition du maquillage des yeux: dessiner le tour de l’œil, comme on le voit sur les fresques, et probablement aussi assombrir les cils.

Il n’est pas imprudent de conjecturer que le trait de khôl égyptien, donc l’eye-liner, est une technique bio-inspirée qui confère volontairement à l’œil humain l’intensité du regard de la panthère. Une technique qui capture le même amplificateur de contraste que l’évolution a peint sur le survisage de grands félins.

Dans une culture où votre déesse a une tête de lionne, où les animaux ne sont pas des bestioles mais des divinités, prendre leur survisage pour modèle dans l’apprentissage d’une expressivité intensifiée fait parfaitement sens.

Jusqu’à aujourd’hui, même les plus obtus ressentent douloureusement la puissance esthétique d’un survisage de panthère.

La tradition antique y a puisé des leçons de beauté, au sens vivant: la beauté comme manière d’habiter une forme.”

Fonte: Baptiste Morizot, “Manières d’être vivant”, Actes Sud, 2020

LA VITA È FATTA DI FRAMMENTI

Frammenti, validi come premessa

Ho sempre ammirato quelli capaci di creare/vedere grandi sistemi, rispetto al mondo circostante. Quelli che riescono a far coincidere tutti i pezzi della loro cosmologia e tutto il loro universo, una volta completato il lavoro, arriva ad assumere connotati netti e precisi. Ascissa, ordinata. Tutto in ordine.

Non sono mai riuscita ad essere così.

Riesco a fissarmi solo sui particolari. L’universale da sempre mi sfugge.

Spesso anche i particolari – nel particolare – mi sfuggono: nel senso che riesco a focalizzarmi sui frammenti, sulle briciole. Passo ore ed ore a guardare le briciole di realtà, analizzandole a volte in modo ossessivo.

Se mi innamoro di un libro, di un film o di una serie, sono capace di guardare e riguardare decine, centinaia di volte una pagina, una scena, l’inclinazione di un viso, una risata, l’intonazione di una voce, come se tutte queste cose – assolutamente slegate dalla visione d’insieme di quell’opera – potessero improvvisamente spiegarmi il senso della vita.

Da quella briciola pretendo di arrivare alla visione d’insieme.

Penso che sia la strada più sbagliata per arrivare al panorama finale. Scendo verso il basso del mio personalissimo Mont Ventoux, sperando di arrivare a vedere un panorama elevato che avrebbe richiesto ben altra strada, ben altro coraggio visivo.

Metto insieme questi pezzi slegati tra loro, nell’assurda speranza che essi possano indicarmi la giusta via.

Sto lì ad accantonarli, li allineo – uno vicino all’altro – sperando che una bella mattina, dopo essermi alzata da un sonno ristoratore, l’illuminazione arriverà, subito dopo essermi stropicciata gli occhi.

Ecco perché non mi riesce di costruire vere storie. Non riesco ad inventare personaggi: riesco a parlare solo di quelli che esistono già e che – a mio parere – costituiscono un campionario sufficiente per uno scrittore.

È già tutto lì: basta armarsi di pazienza ed osservare, ascoltare, trascrivere. La realtà parla da sola.

Lo so, l’eterno dilemma: se l’artista sia specchio o lampada.

Sono specchio o lampada? Un fiammifero, forse.

Ho quaderni pieni di osservazioni sparse, scritte a mano su quaderni bellissimi (quelli sì).

Osservazioni che dovrebbero essere trascritte, riordinate, cercando di dare loro un verso.

E mentre so che questo sarebbe il lavoro a cui dare priorità, mi metto a scrivere una premessa come questa, all’interno della quale prometto di fare ciò che continuo a rimandare.

(e sempre a Petrarca torniamo: ai suoi buoni propositi irrealizzati)

Ma le premesse – si sa – sono bussole indispensabili. Per capire. Per orizzontarsi. Per procedere.

 

PICS FROM MPLS

Stanze del Midwest
...nove ore di viaggio, una notte che nella tua testa non lo è affatto e ti ritrovi a guardare fuori dalla finestra: ti ricordi all'improvviso che sei su un'isola, che quell'isola è in mezzo al Mississippi e che sei nella città di Skip...
Stanze del Midwest
Ed è guardando da quelle persiane che scopri per la prima volta il Mississippi, nella sua grandezza
Il Ponte 1
L'isola in mezzo al Mississippi è collegata alla terraferma da un antico ponte in ferro e legno. Da lì si vede scorrere l'acqua, destinata a percorrere migliaia di chilometri
Il ponte 2
Tra l'isola e la terraferma c'è questo ponte in ferro e legno. Sotto, scorre il Mississippi, placido, limaccioso. Lo osservi, mentre passa sotto i tuoi piedi, trascinandosi dietro qualche tronco raccolto durante il cammino.
Hennepin Bridge
Hennepin Bridge ha un carattere quasi metafisico: fa un salto acrobatico sul Mississippi e ti permette di guardarlo dall'alto, da spettatore minuscolo che immagina contemporaneamente anche altre presenze, oltre alla sua, in altri momenti, in altri tempi
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A LETTER

Dearest Tracy,

thank U 4 your letter. It’s a good feeling 2  know that one’s work is appreciated by others. It’s the main thing that keeps me working. And if I ever make a video with 10-year olds in ’em, you’re invited. (smile)

I would love a picture of you. Don’t worry about what they look like. I take bad pictures all time. I hope U like Purple Rain, it’s a good movie. But, don’t listen 2 the swear words.

Happy birthday, and don’t forget 2 say your prayers. God loves you.

Your Purple friend,

Prince”

...searchin' & findin' Skip in MPLS... (part I)

…sentire scorrere l’acqua, il potere calmante dell’acqua, avere a così breve distanza, praticamente a portata immediata di sguardo, una massa tanto imponente di acqua in continuo movimento, ha avuto su di me un forte potere ipnotico: sono andata di continuo a vederla. Solo chi è cresciuto accanto all’acqua può capirne il fascino irresistibile…

Have a Purple Day

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PILLOLE VIOLA CHE PARLANO DI LUI – DI SKIP – DEL SUO MONDO, DELLA SUA MUSICA

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PILLOLE VIOLA

RANDOMLY GRABBED POSTS

NEAL + PRINCE:A TRIP IN&OUT A (BOY)MAN (IVparte)

Era una persona complessa. Sicuro. Sicurissimo.

Prince aveva una personalità difficile da comprendere, per chiunque, ad un primo sguardo. Ad uno sguardo superficiale. Specie per chi lo vedesse/incontrasse per la prima volta.

(i pochi autorizzati ad entrare all’interno della sua zona di rispetto e solo per il tempo strettamente necessario, ovviamente, e niente di più)

Come molti di noi – egli possedeva molti strati disposti sotto la sua superficie, ma non permetteva a nessuno di scavare là sotto.

Non lo ha mai permesso a nessuno.

Si celava a tutti, dunque.

Mostrava sempre e soltanto quello che ritenesse utile mostrare in quel momento. Niente di più. E mai troppo a lungo.

In questa intervista che concede nel 1985 – dopo anni di silenzio stampa – a Neal Karlen di Rolling Stone egli decide di sembrare abbordabile. Un ragazzo qualunque, arrivato al successo dopo una serie infinita di dolori e difficoltà.

(la pura verità, a dire il vero)

Uno che fa una vita regolare, fatta di lavoro e lavoro.

(il che è perfettamente vero)

Voleva allontanare ogni diceria sui suoi comportamenti bizzarri ed eccolo lì: il ragazzo della porta accanto, timido, ma accessibile.

(il che è anche – altrettanto e assolutamente – vero, sotto un certo punto di vista)

Questa intervista – come ho sottolineato più volte – è una sorta di unicum. Pochi sono riusciti ad avvicinarlo e ad affiancarlo nel modo in cui Neal Karlen ha potuto fare in quell’occasione. Passando così tante ore con lui. Guardandolo muoversi davanti a lui, senza la mediazione di staff e di assistenti personali.

Prince viveva di distanza.

(continua nella sezione articoli)

The Purple House

TALKING ABOUT SKIP

IL MIO ULTIMO LIBRO: "THE BEAUTIFUL PRINCE" (LUGLIO 2022)

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Have a Purple Day

A NEW NEW NEW STORY!

he's back!

PAGE ONE ONE

“Il tuo passato immaginato da me, il nostro supposto futuro” “C’è un tipo di rapporto, l’unico durevole, in cui è come se tra due esseri umani corresse un invisibile filo telegrafico. Dentro di me lo chiamo: ‘Il filo d’oro’ ” “Tutto ho raccolto di te briciole, frammenti, polvere, tracce, supposizioni, accenti restati in voci altrui, qualche grano di sabbia, una conchiglia, il tuo passato immaginato da me, il nostro supposto futuro, ciò che avrei voluto da te, ciò che mi avevi promesso, i miei sogni infantili, certe sciocche rime sulla giovinezza, un papavero sul ciglio di una strada polverosa” (coming soon)

PAGE TWO TWO

Gràphein, Oràn, Èchein “Cara signora Milena, la pioggia che durava da due giorni ed una notte è appena cessata, forse soltanto provvisoriamente, ma è certo un avvenimento degno di essere festeggiato ed io lo faccio, scrivendo a Lei” “Franz, sbagliato, F sbagliato, Tuo, sbagliato, non più, silenzio, bosco profondo” (coming soon)

SENDING/FINDING LOVE

To: Skip, somewhere-nowhere From: (It’s) me Object: need help&(possibly)love:right now! please-please-please, come here! Caro Skip-del-mio-cuor, here we are. Lo so. Sei lì da un po’, a prendere il sole, nel Giardino. Beatamente. Non vuoi seccature e - credimi - ti capisco benissimo. Le persone come me sono una bella rottura di maroni, come glisserebbe - e con ragione - mio figlio. Però. (coming soon)

IPSE DIXIT: CRUMBS FROM HIS INTERVIEWS

IPSE DIXIT

"Once I made it, got my first record contract, got my name on a piece of paper and a little money in my pocket, I was able to forgive. Once I was eating every day, I became a much nicer person" (1985)
MUSICIAN: And what’s your last name? Is it Nelson? PRINCE: I don’t know. (1983)
About Minnesota: “I was born here, unfortunately.” (1977)
"I believe in teachers, but not for me" (1979)
About concerts: “I really don’t have time to make the concerts" (1977)
“Do you get out much?” “No. Not really.” “What age range of young ladies do you like?” “It doesn’t matter.” (1979)
About studying music: "I’ve had about two lessons, but they didn’t help much" (1977)
"We won’t be able to use that. I hate wasting time. I want to hear that song on the radio" (1977)
About music:“I wanted to make a different-sounding record" (1977)
first time he saw his father performing on stage (Prince was a 5 years old boy): "He was up on stage and it was amazing. I remembered thinking, ’These people think my dad is great.’" (1982)
"I think society says if you’ve got a little black in you that’s what you are. I don’t" (Musician, 1983)
About being a performer: "I wanted to be part of that" (1977)
PRINCE: Probably take a long bath. I haven’t had one in a long time. I’m scared of hotel bathtubs. (‘quale sarà la prima cosa che farai, quando tornerai a Minneapolis?’) (‘con ogni probabilità, un lungo bagno, non ne ho fatto uno per parecchio tempo, mi spaventano le vasche da bagno degli hotel’) MUSICIAN: What do you fear? PRINCE: They just...a maid could walk in and see me.
About school: "To this day, I don’t use anything that they taught me. Get your jar, and dissect frogs and stuff like that" 1983

MY PODCASTS ABOUT HIM

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LAST STUFF

#14 Endorphinmachine

 

 

No one screams like Prince

 

 

(commento di un fan, sotto il video di questo brano presente su You Tube)

 

Prince durante l’esibizione a Parigi

Esisteva davvero, una Endorphinmachine.

Una macchina che – a piacimento – somministrava endorfine. Le somministrava al solo Prince, però.

Egli l’aveva fatta realizzare sotto il suo palco. Si trattava di una piccola stanza da cui poteva controllare sound e riprese, anche durante il concerto. Era anche il camerino dentro il quale cambiava velocemente i suoi abiti, tra una sezione e l’altra dello spettacolo.

Un giornalista ha raccontato nei minimi particolari la sua immersione dentro questo piccolo antro, all’interno di un reportage che contiene anche un’intervista a Prince.

(o meglio: quella che sarebbe dovuta essere un’intervista a Prince, ma che aveva preso, da un certo momento in poi, una piega tutta sua, ma questa è un’altra storia)

Nel novembre del 1994 esce su «Guitar World» un interessante réportage (definirlo intervista è eccessivo, infatti: Prince, praticamente, per tutta la serata non spiccica parola, se non pochi monosillabi ed affermazioni di carattere provocatorio per il povero giornalista) realizzato da Alan Di Perna, che viene ammesso all’interno di uno strano camerino, incastonato proprio sotto il palco principale dello spettacolo. 

Questo camerino si chiamava appunto “Endorphinmachine”, come il brano di cui parliamo qui oggi.

Seguiamo la descrizione dalle parole dello stesso Di Perna:

 

«La sala è piccola, simile ad una caverna, arriva forse a cinque piedi di lunghezza, con un soffitto dorato basso e arrotondato, che digrada pian piano fino ad un pavimento coperto da un tappeto bianco come la neve. Lo spazio ha un aspetto lievemente claustrofobico e odora vagamente di sudore e Dio solo sa di cos’altro di tratti. Se esistesse un bordello a Disneyland, potrebbe somigliare a questo. All’estremità più larga di questa sorta di grotta, proprio dietro una tenda di velluto rosso, si trova una enorme console di mixaggio. Verso il lato più piccolo si trovano una toeletta a specchio ed una sedia simile ad un trono, rivestita in pelle di leopardo. Benvenuti nella Endorphinmachine, il santuario interno al palco dell’Artista precedentemente conosciuto come Prince. Chi altri – se non Prince, o come vuole ora essere identificato – potrebbe progettare un palcoscenico che include un luogo in cui The Artist può nascondersi dal suo pubblico?»

 

 

Tutto l’allestimento del tour era stato giocato su pesanti (almeno, per l’epoca) allusioni di natura sessuale.

Il Prince castigato e morigerato della seconda fase della sua carriera era ancora soltanto una vago puntino all’orizzonte.

 

(per nostra fortuna)

 

Ecco ancora Di Perna:

« […] Prince ha progettato l’ingresso e l’interno della sua caverna di mixaggio come una replica stilizzata di un organo sessuale femminile, completa di un clitoride finto oro, alto circa due piedi. Questo particolare potrebbe sembrare sessista, ma bisogna ricordare che la scenografia complessiva comprende anche una massiccia torre d’oro che suggerisce sotto ogni punto di vista la particolare peculiarità anatomica dei maschi».

 

Quando parliamo di endorfine, trattandosi di Lui, sappiamo dunque a cosa facciamo riferimento: alla dimensione sessuale, al piacere che ne deriva.

Esistono su Internet diversi video in cui Prince esegue questo brano. 

A me, in particolare, piace quello in cui, il 5 maggio 1994, si esibisce all’interno di una trasmissione francese, “Nulle part ailleurs”.

Prince, durante l’esibizione a Parigi

(a Prince la Francia è sempre piaciuta: ha avuto case, lì, e amava molto il pubblico e la cultura francesi, totalmente ricambiato)

Una esecuzione brillante ed impeccabile, la sua.

(fino a qualche tempo fa circolavano anche dei video, registrati in bassa frequenza, delle prove del pomeriggio eseguite dagli NPG prima da soli, poi con Prince: si può vedere molto chiaramente, da questi frammenti, anche il modo in cui la band, a prescindere dalla presenza di Prince in quel momento, seguiva disciplinatamente alla lettera la sue indicazioni)

Nel corso di quella performance televisiva Prince suona quella stranissima chitarra dorata a forma di Love Symbol. 

(un grande, grandissimo, chitarrista come lui – Tom Morello – anni fa, ha affermato che uno degli indizi della grandezza di Prince, come chitarrista e solista, era anche quello di riuscire a tirar fuori degli assolo incredibili, da chitarre di norma impossibili da gestire, proprio come quella) 

La chitarra dorata a forma di Love Symbol

Quella sera di Parigi gli NPG sono al completo, si vede un Tommy Barbarella in gran spolvero e la sezione ritmica è davvero carica. Mentre canta è già ben visibile una scritta sulla guancia di Prince, come avviene molto spesso in quegli anni di lotta contro la Warner.

Tommy Barbarella

 

Esiste anche un secondo video, registrato sempre dal vivo, in cui lui, tutto vestito di rosso, indossa un magnifico cappello nero decorato ed impreziosito  da papaveri rossi. 

(o si tratta di ranuncoli?)

Cappelli coi fiori e dove trovarli

(sul rapporto e sull’amore viscerale che Prince nutriva nei confronti dei cappelli – sarà necessario, prima o poi, ritornare: si tratta di un elemento troppo importante, all’interno della sua estetica)

 

Veniamo al brano ed ai suoi aspetti di carattere tecnico. 

È la seconda traccia dell’album The Gold Experience. Il primo album siglato con il Love Symbol e pubblicato nel giugno 1994.

La sessione di registrazione avviene il 2 gennaio 1993, all’interno dei Pasley Park Studios. Le sovraincisioni si allungano addirittura fino al 1995.

Partecipano alla sessione tutti gli «NPG»: Michael B. al basso, Tommy Barbarella alle tastiere, Michael B. alle percussioni, Mr. Hayes, anche lui alle tastiere: la medesima formazione della registrazione televisiva francese e anche del secondo video di cui ho parlato.

Prince ha continuato ad eseguire questo brano all’interno di diversi tour, nel corso della sua carriera: dal 1993 fino al 2014.

 

La pagina «500princesongs.com» sottolinea come esistano due versioni registrate in studio di questa canzone, piuttosto diverse tra loro ed è del parere che ognuno può scegliere la sua preferita, a seconda dell’intensità delle sfumature che è disposto ad assorbire da esse.

Sono le urla aggressive/liberatorie di Prince quelle che colpiscono il critico di questa pagina:

 

«Altri due urli di natura orgasmica capaci di far scoppiare i neuroni abbelliscono la parte del climax: uno è così potente da far esplodere la musica. Questo è ciò che Endorphinmachine è in grado di provocare in te. È chiaramente un derivato dalla Excessive Machine, che, all’interno del film Barbarella [uno dei film feticcio di Prince, da sempre], ti dà piacere fino a portarti alla morte».

Una ulteriore riflessione a posteriori, del critico di 500princesongs.com:

Michael B. – di spalle – al basso, durante l’esibizione di Parigi

 

«È così [con una macchina come questa] che egli ha ucciso il suo “personaggio” Prince? Il sample “Prince està muerto” è doloroso da ascoltare, oggi, ma la sua collocazione alla fine di questa canzone suggerisce che la sua prima incarnazione [Prince] è stata eliminata con una overdose di endorfine fino al livello 11».

 

(in effetti, è dolorosa da sentire, quella frase: quando ascolto questa canzone, la interrompo sempre, prima che essa venga pronunciata)

 

Di cosa parla questo brano? Di nulla, in realtà, appartiene quasi integralmente alla sezione che ho già definito come “cazzeggio allo stato puro”, giochi verbali ed incastri che si inseguono l’uno con l’altro.

Ci sono, però un paio di passaggi importanti:

uno, nella prima strofa, che ha nello sfondo un sentore sarcastico:

 

“[…] aspetta qui, torno subito, ho un nuovo trucco dentro il portabagagli della macchina, una specie di film, ma tu sei la star”.

 

(il “trucco” sarebbe appunto la Endorphinemachine)

 

“Spingi Uno per il denaro, Due per i sogni”:

(dunque puoi fabbricarti la tua realtà su misura: basta spingere il bottone giusto, tutto qui)

 

È nel bridge, nella sua parte finale, che, però, si trova il passaggio importante: Prince fa un riferimento diretto all’uccisione del suo personaggio ed alla trasformazione – voluta da lui – in qualcosa di volutamente diverso. Il “suo” tema di quegli anni. La sua lotta di quegli anni. La lotta per la libertà dai vincoli.

 

“[…] ogni tanto arriva il momento in cui ti devi difendere, il tuo diritto di morire e di vivere di nuovo […]”

 

E, dal pianeta delle metamorfosi esistenziali, per oggi è tutto.

 

 

Absolutely brilliant, this song excites my senses in such a profoundly good way!

(commento di un fan, sotto il video di questo brano presente su You Tube)

 

 

(amen)

 

 

Fonti:

  • princevault.com
  • Alan Di Perna, “Il chitarrista precedentemente conosciuto come Prince”, «Guitar World», novembre 1994
  • 500princesounds.com
  • Rolling Stone, 18 maggio 2016, intervista a Tom Morello

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marialetiziacerica

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Lillian Morgan

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