
Se voi foste vissuti in una famiglia profondamente religiosa, con un nonno predicatore, un padre attentissimo alla morale, vi ritrovereste di sicuro – dopo una fase di intensa ribellione da parte vostra alle regole di quella stessa morale – a rientrare prima o poi nel porto sicuro.
Quello religioso.
Capita a quasi tutti i grandi iconoclasti: spesso non riescono a reggere troppo a lungo quel gioco distruttore e, da un certo momento in poi, preferiscono abbracciare in modo convinto il cosiddetto “ritorno all’ordine”.
Questo – in estrema sintesi – è stato anche il destino di Prince: dalla fase incendiaria e scandalosa degli anni Ottanta è passato (specie dopo il Black Album) attraverso un primo momento di ripiegamento.
Di generica adesione ad una vaga forma di spiritualità di carattere orientaleggiante.
(Il bianco dell’album Lovesexy ha questo significato di contrapposizione di un “dopo”, rispetto al “prima”).
Dalla metà degli anni Novanta in poi, specie dopo il suo ingresso nei Testimoni di Geova, ha rinnegato il se stesso di prima, reimmergendosi nelle dimensione religiosa, come e più di prima.

Non aveva mai del tutto abbandonato Dio, negli anni precedenti, infatti: la sua era stata una stranissima e personale mescolanza di lussuria ed amore per il Signore. Sempre.
Solo che – verso la fine dei Novanta – la lussuria (la sua presenza nei testi delle canzoni) viene progressivamente spinta ai margini, per lasciare spazio quasi del tutto alla spiritualità. A Dio. Alle domande sul senso della nostra esistenza.
Ed eccoci a “The Last December”.
Il titolo di questa canzone riesce quasi sempre ad infondermi un senso di malinconia. Perché parla di un ultimo dicembre. Di quello della vita di ognuno, ovviamente.
Il “dicembre” di ognuno di noi, certo.
Il fatto è che qui – nel brano – a parlarne è una persona che a malapena è riuscita a poggiare il suo piede nell’autunno della sua vita, una persona che non è riuscita a scrutare il suo ultimo dicembre nemmeno da lontano.
Il suo dicembre non è stato un vero dicembre, a dire il vero. Non ha assaporato nemmeno un giorno della sua vecchiaia.
Il suo dicembre (quello più cupo) era probabilmente già da tempo presente nella sua anima, nel suo sentire nei confronti della vita.
Ma questo è un altro discorso.
(Su cui ritorneremo, di tanto in tanto)
Prince si è interrogato molto spesso sul senso della vita, all’interno delle sue canzoni. Specie in quelle successive alla fine degli anni Novanta.
Le sue domande, in fondo sono anche le nostre, come capita ad ognuno di noi con i dubbi incessanti sul cammino che stiamo facendo.
Esiste davvero una direzione? Il nostro muoverci ha un senso, un criterio? E – se sì – qual è?
Perché siamo qui?
In che modo possiamo lasciare dietro di noi una traccia significativa di ciò che siamo stati – anche solo per un certo numero di anni?
(Una domanda che la filosofia si trascina dietro fin da quando è nata – si potrebbe osservare – senza che nessuno sia riuscito a dare una risposta convincente e definitiva)
Cos’è per noi il tempo? In che modo possiamo evitare di sprecarne troppo?
(Chiedere a Seneca – eventualmente – per risposte più particolareggiate e circostanziate: suonare a De brevitate vitae, interno tre, secondo campanello a destra)
Una sola cosa è sicura: quello rimasto va speso bene, perché dobbiamo caricare di senso a quel poco/tanto spazio che abbiamo davanti.
E questo vale per tutti.
Queste riflessioni sul tempo, sul significato della nostra presenza su questa terra sono state un tema costante nella produzione di Prince, dunque. Legate alla sua continua, incessante ricerca spirituale, al suo intenso legame con la fede.
Un legame che ha caratterizzato tutte le fasi/ere della sua vita. Andiamo ad analizzare “The Last December”.
Siamo all’interno di The Rainbow Children, un album pubblicato nel 2001, l’ennesimo anno di svolta nella vita e nella carriera di Prince.
Archiviata Mayte, era arrivata Manuela, la seconda moglie. Una fase positiva, nella vita privata e nell’ispirazione delle canzoni.
Un album interlocutorio, prima dell’arrivo di Musicology.
Come capita quasi sempre nella fase ideativa e nella realizzazione concreta dei brani, qui Prince registra quasi tutto da solo. A Paisley Park.
(nelle note di edizione di “The Last December” c’è scritto: “All other instruments – digital or otherwise, lead and co-lead vox, percussion and sound FX per4med by Prince…and U”).
Partecipano – oltre a lui – Larry Graham al basso e John Blackwell alla batteria (“John Blackwell, the Magnificent” – dicono sempre le note di edizione)
Le sessioni di registrazione risalgono a fine2000/inizi2001. In seguito, Prince ha eseguito pochissimo dal vivo questo brano e praticamente mai, dopo il 2002.
Il sito diffuser.fm – all’interno della sezione 365 Prince Songs in a Year – ne parla nel dicembre del 2017.
«One of shocking things we learned after Prince died was the fact that he didn’t have a will. But that doesn’t mean he had never thought about the legacy we leave to future generation».
(Siamo tutti rimasti senza parole nel venire a sapere – dopo la sua morte – che Prince non aveva redatto un testamento: questo però non significa che lui non abbia mai fatto riferimento – o pensato – all’eredità che ognuno di noi lascia alle future generazioni)
Quindi – in questo caso – siamo di fronte ad una sorta di testamento spirituale.
Sempre sulla pagina diffuser.fm troviamo dei riferimenti alle influenze musicali che hanno avuto una ricaduta sulla genesi di questa canzone.
«While much ink has been spilled on the influence of James Brown, George Clinton and Sly Stone on Prince, the gentle falsetto vocals and guitar playing in the verses of “Last December” recall the legendary Curtis Mayfield».
(sono innegabili le influenze di James Brown, George Clinton e Sly Stone sulla musica di Prince, ma, in questo caso, appare innegabile quella di un grande cantante americano, morto poco prima della pubblicazione di questo brano: Curtis Mayfield)
L’accordo di chitarra iniziale è molto caldo.

« “If your last December came” – he sings in his falsetto – “What would U do?/Would anybody remember 2 remember U? / Did U stand tall?/ Or did U fall?/ Did U give UR all?”»
(Che faresti se [magari all’improvviso] arrivasse il tuo ultimo dicembre? Qualcuno si ricorderebbe di te? Ti sei alzato in piedi o sei caduto? Sei riuscito a dare il massimo?)
Andiamo a vedere un altro passaggio del testo:
Did you ever find a reason/Why you had to die?
Or did you just plan on leaving/Without wondering why?
Was it everything it seemed?/Or did it feel like a dream?
Did you feel redeemed?

(Pensi che sia possibile trovare una ragione, secondo la quale si debba morire? Oppure pensavi semplicemente di andartene senza nemmeno chiederti perché? La morte ha avuto un aspetto reale, oppure sembrava più un sogno? Hai avuto un’impressione di redenzione, in quel momento?)
Il ritornello ha una dimensione spirituale molto accentuata, quasi una preghiera:

In the name of the father/In the name of the son
We need to come together/Come together as one
(Nel nome del Padre, nel nome del Figlio, abbiamo bisogno di unirci, unirci come se fossimo una sola persona)

Did you love somebody/But got no love in return?
Did you understand the real meaning of love?/That it just is and never yearns?
When the truth arrives/We’ll be lost on the other side?
Will you still be alive?

(Ti è capitato di amare qualcuno, senza essere ricambiato? Hai realizzato che il vero significato dell’amore sta nel fatto che è e non desidera mai? Quando arriverà la Verità e saremo persi da qualche altra parte, sarai ancora vivo?)
In your life did you just give a little/Or did you give all that you had?
Were you just somewhere in the middle?/Not too good, not too bad?
(Nella tua vita ti sei limitato a dare il minimo, oppure hai dato tutto quello che avevi? Eri solo da qualche parte – a metà del guado – né troppo buono, né troppo cattivo?)

Fonti:
- princevault.com
- diffuser.fm (365 Prince Songs in a Year)
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