
“I am a 63 year old woman who was young when Prince was young. I was always in love with him. The sexiest man whoever lived”.
(“Sono una donna di 63 anni che era giovane, quando Prince era giovane. Sono sempre stata innamorata di lui. l’uomo più sexy che sia mai esistito”.)
(dai commenti postati su YouTube, sotto il video di “Call My Name”)
Una canzone d’amore, questa, che, nella parte finale, contiene una esplicita dichiarazione d’amore per il proprio nome.
(e per la propria storia, di conseguenza)

Due incastri perfetti: una storia d’amore che ti illumina la vita ed una che è rimasta più nascosta, poiché è restata stabilmente nelle tue pieghe più recondite.
Tutto nasce da qualcosa di apparentemente banale, come spesso accade con i frammenti di vita che danno origine alle canzoni.
La persona che ti ama ti sta chiamando e ne sei improvvisamente consapevole: tutto ha un suono nuovo. Come mai prima.
Come un’epifania.
Tutto appare improvvisamente sotto una luce inedita. Il tuo nome risuona dentro di te, attraverso la sua voce. Come mai prima.
(perché ti è arrivato attraverso la sua voce)
Quel nome, quello stesso contro cui hai lottato per tanti anni, quello che hai provato a cancellare in ogni modo, a rendere inutilizzabile, torna indietro da te, attraversando veloce l’aria – quasi come un boomerang – e si carica di un suono inedito.
Come se a tutti gli altri fosse mancata la chiave per aprire quella cassaforte. Come se nessuno avesse mai trovato l’altezza giusta della nota.

“Heard your voice this morning calling out my name/It had been so long since I heard it/That it didn’t sound quite the same, no/But it let me know that my name had never really been spoken before/Before the day I carried you through the Bridle Path door”.
Tutto questo perché è stata lei a pronunciare quel nome. Quella stessa donna insieme alla quale hai attraversato la porta della vostra nuova casa.
Vorresti che lo facesse in continuazione – chiamarti in quel modo – perché con lei è iniziata la rivoluzione copernicana della tua visione del mondo, della tua vita e persino il chiaro di luna – che avevi visto già almeno un milione di volte nella tua vita – ha assunto, da quel momento in poi, sfumature nuove. Totalmente diverse.
Una luna mai vista prima, a memoria d’uomo.

“I’ve never seen the moon look so lovely as the night I saw it with you/ It let me know I’d never seen the moon before”.
E succede persino che tu entri in uno stato di vera e propria astinenza, vai letteralmente fuori di testa, quando sei lontano da lei, quando (anche per poco) lei non ti chiama.
“If I don’t see you real soon baby girl, I might go insane/I know it’s only been about three hours but/I love it when you call my name, yes I do”.
Con un amore come questo ci si dimentica volentieri che là fuori c’è ancora il mondo, che da qualche parte c’è la guerra. La gente, è chiaro, non vorrebbe la guerra, se potesse scegliere. Anzi: se tutti avessero tra le mani un amore come questo, scorderebbero di certo per quale motivo erano tanto arrabbiati con qualcun altro. I notiziari corrono incessanti, il mondo sembra interessarsi in maniera morbosa del privato delle persone. Se qualcuno girasse intorno a casa nostra, dopo avere violato anche il telefono, vedrebbe solo due persone che lì dentro stanno facendo l’amore.

“Heard a voice on the news saying people want to stop the war (stop the war, hmm!)/If they had a love as sweet as you they’d forget what they were fighting for/What’s the matter with the world today?/The land of the free? Somebody lied/They can bug my phone and people ’round my home/They’ll only see you and me making love inside”.
Ci sono innamoramenti profondi, di quelli che – quando scattano – fanno cadere in pezzi come falsi idoli tutti gli amori precedenti. È solo a quel punto che ci si rende conto di quale sia la reale differenza tra un amore vero (per una persona vera) ed un amore falso, perché dietro a certe persone non c’è verità a sufficienza.
“Nothing about you is false, that’s why your love is real/
(Talking ’bout real) that’s why your love is real”.

Quando si ama così e si è ricambiati, si ha anche voglia di ringraziare Dio, per il fatto che quella persona non fosse legata già a qualcun altro, perché la potenza di questo amore (capace di dare calma, di permettere alla propria vita di rallentare) sarebbe stata tale da spingere a sfidare ogni legge.
“God forbid if you belonged to another, I’d have to steal you (take you from your man)/ I might be tempted to break the law (break the law ’round here)/Because your beauty, it gives one pause (yes, it does)/It slows me down”.
Va bene. Va bene tutto. Chiamami. Chiama il mio nome.
“That’s right, call my name”.
“Prince”.
Sono tante – pressoché infinite – le storie e gli aneddoti relativi al rapporto (spesso conflittuale) che Prince ha avuto con il suo nome.
In una intervista del 1999, concessa a Jesse Nash, ad esempio, Prince, ridendo, (ma dentro quella risata c’era una chiara sfumatura di amarezza, di rabbia, persino) aveva raccontato di come, durante la sua adolescenza, alcuni suoi insegnanti avessero rifiutato di chiamarlo col suo nome, di come facessero delle vere e proprie acrobazie verbali pur di non chiamarlo Prince.
(ma che razza di nome era, il suo? – sembravano volergli dire)
Aveva raccontato di come uno di essi, in particolare, avesse tentato di convincerlo che Prince non fosse il suo vero nome, ma che quello fosse un nome inventato.
(«Certo, i miei genitori se lo erano inventato apposta per me!» – aveva chiosato lui, davanti al giornalista)
Il suo nome era stato per lui in alcuni casi ed in alcuni momenti, una sorta di peso, una zavorra di cui aveva tentato di liberarsi.
Gli anni Novanta in particolare – con la scelta dirompente di non farsi chiamare più Prince, di trasformarsi in un semplice simbolo (impronunciabile, oltretutto) – erano stati attraversati dal lungo e spossante braccio di ferro con la Warner, per ottenere lo scioglimento del suo contratto.
Quello scioglimento passava necessariamente attraverso il “possesso” del suo nome, che nel frattempo era diventato anche un marchio universalmente conosciuto.
Cambiando nome, aveva rovesciato il tavolo da gioco ed aveva impostole “sue” regole.
(scandalo che gli è costato molto caro – all’interno dello showbiz- ma lui ha preferito correre il rischio, piuttosto che sottomettersi)
Solo a partire dal 1999 avrebbe ricominciato ad utilizzare (dapprima solo come produttore di Rave Un2 The Joy Fantastic) il suo vero nome.
A partire dagli anni Duemila, l’identità non sarebbe stato più un problema per lui: i suoi collaboratori e gli impiegati, i giornalisti e le persone che entravano in contatto con lui non sarebbero più stati costretti a fare acrobazie di carattere verbale per riferirsi a lui, anche solo per chiamarlo.
Prince ha scritto diverse canzoni che fanno riferimento al suo nome (“My Name Is Prince”, ad esempio), ma “Call My Name” unisce all’idea della riconquista della sua identità, al momento in cui si riappropria di ciò che, in realtà, era sempre stato suo, anche un senso di intimità, di contiguità con la felicità, propria di quel momento della sua vita: l’incontro ed il matrimonio con Manuela.
(fine anni Novanta-inizio Duemila)
Una canzone d’amore. Molto sentita.
Prince ne ha scritte a centinaia. Per molte donne, spesso molto diverse tra loro.
Questa ha una dimensione inusualmente privata, parla di sentimenti realmente intimi.
(la felicità – a volte – ti spinge ad abbattere o ad attenuare il muro del riserbo ed ottieni risultati inediti, in qualche caso)
Prince l’ha eseguita ancora nel 2016 (21 gennaio, nel corso di un concerto a Paisley Park), segno evidente della sua importanza, all’interno del suo repertorio, dal momento che nel 2016, a gennaio, a Paisley, quando l’ha ripresa, stava mostrando la scaletta di “Piano&mike”, il suo ultimo tour.
Nel 2003-2004 – l’anno della creazione di questo brano – Prince si alternava continuamente tra Stati Uniti (Minneapolis) e Canada (Toronto), dove viveva insieme a Manuela.
Le registrazioni di questo brano sono state appunto realizzate tra Toronto e Minneapolis. Prince ha registrato tutto da solo, anche se (come gli capitava spesso) nel video realizzato successivamente sono presenti alcuni musicisti degli NPG (Rhonda Smith, John Blackwell, Renato Neto, Candy Dulfer, Mike Scott ed altri).
Fonti:
- princevault.com
- YouTube
- Jesse Nash, OCA Magazine, ott-nov 1999
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