
Ogni tre mesi mi creo (quasi da zero) una playlist, legata alla stagione, ma non solo.
Metto su (ogni volta) circa 23-24 ore di musica, che quasi sempre ascolto in modalità random.
Molte novità scaricate da poco, dalle uscite più recenti, ma Prince, (come è ovvio) fa sempre un po’ la parte del leone.
La mattina, appena mi alzo, metto su le cuffie e, mentre preparo la colazione, ascolto musica e ballicchio.
La prima musica della mattina è sempre una canzone di Prince.
La canzone della colazione resta al posto d’onore per settimane.
È sempre con lei che inizio la mia giornata.
(dà il la, a tutto il giorno)
Poi ascolto obbediente tutto quello che arriva, secondo la volontà suprema ed indiscutibile dell’algoritmo che regola la playlist.
Housequake è attualmente la mia canzone della colazione.
In una intervista dei primi anni Novanta, rilasciata nel pieno della bufera legata al cambio del nome, Prince aveva spiegato ad un interdetto Neal Karlen il motivo per cui non andava mai alle premiazioni, anche se lo invitavano.
(e – ovviamente – accadeva spesso)
I premi sarebbero andati sempre alle stesse persone, agli stessi gruppi, che non erano, come lui, orientati al cambiamento continuo.
«Io andrò lì, ma loro premieranno quelli come gli “U2”. Io so creare quel tipo di musica: ho fatto The Cross, ma loro non sapranno fare Housequake!» – aveva affermato, orgogliosamente.
Aveva ragione: era perennemente teso a conciliare gli opposti, a creare sintesi musicali arditissime.
Quei due brani di cui aveva parlato nell’intervista (The Cross e Housequake), l’uno rispetto all’altro, erano un po’ come Alfa e Omega, ma arrivavano pur sempre da lui: l’uomo in divenire continuo.
L’uomo eracliteo per definizione.
L’acqua di un fiume che non è mai passata davanti ai nostri piedi in ammollo con la medesima conformazione.
The Cross è una canzone profonda, impegnata. Parla di riscatto e di speranza. Un arcobaleno spirituale verso il quale guardare con fiducia.
Housequake, invece, (tanto per capirci) è cazzeggio allo stato puro. Cazzeggio al servizio unicamente del ritmo. Un ritmo alla James Brown, sfacciatamente alla James Brown.
(James Brown, ma con la voce di Camille, sia ben chiaro)
Camille la petulante, Camille, l’alter-Ego di Prince in quei mesi del 1986.
Camille, che sarebbe dovuta essere la protagonista di un intero album, mai arrivato, però, sugli scaffali.
(ci è mancato davvero poco, a dire il vero)
E infatti questo brano è stato uno dei tanti che – tra il 1986 ed il 1987 – sono stati frullati per mesi da Prince tra cinque progetti diversi (Camille, Crystal Ball, SOTT, Dream Factory, Black Album) prima che ognuno di essi arrivasse ad un approdo definitivo (dentro SOTT) o fosse rinchiuso una volta per tutte all’interno del Vault, con buona pace del resto del mondo.
La storia di Housequake si gioca nel giro di poche settimane, tra la fine di ottobre e i primi di novembre 1986, tra le sale del Sunset Sound di Hollywood e qualche studio di registrazione non meglio identificato.
(Prince – proprio in quei mesi stava ultimando la realizzazione dei Paisley Park Studios: il primo album che avrebbe realizzato interamente lì sarebbe stato il LovesexyAlbum)
Housequake sembra essere, ad un primo ascolto, una canzone “corale”, di gruppo, fatta con la band, ma – come sempre, quando si tratta di lui – non lo è, a ben guardare i dati tecnici.
I credits ci danno in elenco molti nomi, ma si tratta quasi sempre di overdubs, di sovraincisioni messe lì dopo, rispetto alla realizzazione di base, creata nella sua sostanza solo da lui, che, come sempre, ha suonato tutto da solo.
(l’uomo orchestra aveva colpito ancora una volta)
Le sovraincisioni, nello specifico, sono quelle di Eric Leeds, che realizza la parte del sassofono e di Atlanta Bliss, che registra la parte della tromba.
Sono poi presenti nei credits anche le “party voices”, la crew, cioè. Prince, infatti, aveva registrato voci di gente che fischiava, acclamava applaudiva e tra queste risulta accreditata anche Susan Rogers, l’ingegnere del suono di Prince in quegli anni.
(ancora per poco, a dire il vero)
Nei credits dei cori troviamo anche The Penguin (“a plush prop, not an actual person”, come si specifica ulteriormente). Si tratta di un pupazzo, un peluche, che vagava in giro per gli studi di registrazione in quelle settimane.
« “The penguin” as credited was a plush toy penguin that would lie around in the studio; because of sometimes long hours people would fall asleep and others would place the penguin with them and take a Polaroid picture».
Se, durante le prove per l’album, avvenute quasi sempre in notturna, qualcuno si fosse addormentato, il peluche veniva posizionato accanto a lui, poco prima di scattare una foto con una Polaroid.
(shame)
«Housequake was a throwback blast of funk, a declaration of independence from the recent past, and the first utterances of a brand-new voice for Prince. […] Yet he sounds downright ecstatic, inhabiting a hilarious diss-tossing new persona amid James Brown band-style stabs and a hollow, booming beat», scrive Nick DeRiso in 365 Prince Songs in a Year.
Su questo stesso sito viene riportato anche il giudizio di Susan Rogers, che osserva: “It was one of the songs he spent a long time on, which usually meant – I assume – that the song was one he considered especially important or he particularly enjoyed working on. […] It is only my guess, but I think “Housequake” represented a new idea in dance music for him».
Di cosa si parla in questa canzone?
Di niente in particolare, a dire il vero.
La prima strofa ce lo dimostra, rapida rapida.

Shut up already, damn!
Tell me who in this house know about the quake?
We do
I mean really, really
If you know how to rock, say, “Yeah”
Yeah
If you know how to party, say, “Oh yeah”
Oh yeah
But if you ain’t hip to the rare house quake
Shut up already, damn!
Camille chiede silenzio alla crew e fa una serie di domande su chi tra loro conosca qualcosa a proposito di terremoti (musicali?) o di rock. Qualcuno, nella crew berciante, risponde di sì, poi, quasi subito dopo, parte la tessitura musicale alla James Brown ed il ritmo si fa irresistibile.
(una canzone che non prevede immobilità durante l’ascolto, questa, come molte altre sue: impossibile non pistare almeno un piedino sul pavimento, con questo ritmo)

Housequake
Everybody jump up and down
Housequake
There’s a brand new groove going ’round
In your funky town
(Housequake)
And the kick drum is the fault
You got to rock this mother, say
(Housequake)
We got to rock this mother, say
(Housequake)
Uh, uh
(se non potete fare a meno di seguire questo groove che sta andando in giro per la città del funky, è tutta colpa del ritmo della batteria, sia chiaro!)

We’re going to show you what to do
You put your foot down on the two
You jump up on the one
Now you’re having fun
Huh, you’re doing the housequake
Yeah
(temete di non riuscire a seguire quel ritmo? niente paura: ecco c’è qualcuno che è arrivato per farvi vedere come si fa, mettete giù i piedi col ritmo giusto e poi saltate, basta questo per divertirsi!)
…e poi arrivano (uno-dopo-l’altro) i non-sense:
Let’s jam y’all
Let’s jam
Don’t wait for your neighbor
Green eggs and ham
Ormai, a questo punto della storia, siamo tutti travolti, balliamo e zitti. Non c’è scampo per nessuno, questo è certo:
(e – soprattutto – non preoccupatevi degli sguardi sbalorditi dei vicini di casa: datevi all’agitazione, senza tante storie, prima che chiamino la polizia!)

Now that you got it, let’s do the twist
A little bit harder than they did in ’66
A little bit faster than they did in ’67
Twist little sister and go to heaven
Come on y’all, we got to jam
Before the police come
A groove this funky is on the run
Hey yeah!
Shake your body until your neighbours stare atcha!
Quake, quake, quake, quake, quake, quake

La parte conclusiva mette da parte ogni ricerca di logica e si abbandona gioiosamente al puro gioco verbale, al ritmo della musica, salvo il ritorno di Camille, la petulante, ad intimarci di fare silenzio, alla fine.
(ma, per forza facciamo silenzio, non abbiamo più fiato: troppo ritmo, troppo funk, troppo groove!)
(non abbiamo più l’età, ormai!)
Fonti: princevault.com; Nick De Risio, 365 Prince Songs in a Year;
- Neal + Prince: a trip in&out a (boy) man (IV parte)Era una persona complessa. Sicuro. Sicurissimo. Prince aveva una personalità difficile da comprendere, per chiunque, ad un primo sguardo. Ad uno sguardo superficiale. Specie per chi lo vedesse/incontrasse per la prima volta. (i pochi autorizzati ad entrare all’interno della sua zona di… Leggi tutto: Neal + Prince: a trip in&out a (boy) man (IV parte)
- Neal + Prince: a trip in&out a (boy) man (III parte)Siamo sempre dentro questo lunghissimo piano-sequenza: Neal Karlen, giornalista di Rolling Stone, tiene in mano la macchina da presa e Prince è il soggetto che sta seguendo. Da un po’. Da ore, ormai. In una specie di scorribanda che li vede protagonisti… Leggi tutto: Neal + Prince: a trip in&out a (boy) man (III parte)
- Neal + Prince: a trip in&out a (boy) man (II parte)Siamo sempre a Minneapolis. In giro per la città insieme a loro, Prince e Neal. Estate del 1985. La prima intervista concessa da Prince dopo anni di silenzio. Ad uno della sua città. Ad uno della sua stessa età. Ad uno che… Leggi tutto: Neal + Prince: a trip in&out a (boy) man (II parte)
- Neal + Prince: a trip in&out a (boy) man (I parte)In pochi sono riusciti a farlo. Avvicinarsi a lui, voglio dire. Avvicinarsi davvero a lui, intendo. Non lo permetteva a nessuno. Non l’ha permesso a nessuno. Mai. Tra le decine di interviste che ho tradotto negli anni, solo un paio si sono… Leggi tutto: Neal + Prince: a trip in&out a (boy) man (I parte)
- “I have mixed emotions”Sullo stesso numero di settembre 1983 di Musician, accanto all’intervista di Barbara Graustark ce n’è un’altra, di carattere tecnico, curata da Robert Hilburn, un giornalista che, nel tempo, ha più volte intervistato Prince. Hillburn dichiara di avere molto amato i primi due album… Leggi tutto: “I have mixed emotions”